16/01/2023, 12.31
LIBANO
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William Noun, l’esplosione al porto di Beirut e il ‘decadimento’ della giustizia

di Fady Noun

L’attivista è stato arrestato (poi rilasciato su cauzione) per aver protestato contro la paralisi in atto da 14 mesi nell’inchiesta sull’incidente. Fratello di una delle 235 vittime. La solidarietà di un imam e del patriarca Raï, che denuncia pratiche da Stato di polizia (di memoria siriana) e una giustizia basata sulla “vendetta”. 

Beirut (AsiaNews) - Tutto il Libano ha tenuto il fiato sospeso per lui e ha creduto di tornare al regime di polizia instaurato dalla Siria negli anni ‘90 del secolo scorso, nelle fasi successive a Taëf e alla guerra civile. Tuttavia, una mobilitazione popolare tanto inattesa quanto spontanea ha avuto ragione della collusione fra polizia e una certa parte della magistratura, al soldo del potere politico. L’attivista William Noun è stato fermato il 13 gennaio scorso dai reparti della Sicurezza dello Stato, in seguito a una telefonata informale che notificava il mandato di arresto. Egli è una delle figure di primo piano del collettivo delle vittime dell’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020 (235 le vittime accertate), il cui fratello pompiere è fra le persone morte nella tragedia, ed è stato liberato la sera del giorno successivo. Il rilascio è avvenuto anche grazie all’imponente mobilitazione popolare alla quale hanno aderito deputati, oltre all’imam della moschea di Jbeil e il patriarca maronita. 

Il 14 gennaio una folla imponente ha sfidato la pioggia radunandosi davanti alla sede del quartier generale della Sicurezza, dove si trovava rinchiuso l’attivista dal giorno precedente. Grazie alle stazioni televisive che hanno dato una visibilità eccezionale a questo sit-in fino a tarda notte, William Noun è stato infine rilasciato, sebbene l’iter preveda che avrebbe dovuto trascorrere almeno altre due notti in stato di fermo. Sua madre, Zeina Noun e il deputato Melhem Khalaf, ex presidente dell’Ordine degli avvocati di Beirut, hanno dormito anch’essi sul posto, rifiutandosi di lasciarlo solo. L'attivista è accusato di aver rotto il 10 gennaio alcune finestre del tribunale di Beirut durante una manifestazione di protesta contro la paralisi dell’inchiesta - in stallo dal 14 mesi - e per aver minacciato a parole di usare la “dinamite” contro il tribunale stesso in caso di blocco ulteriore.

Accolto con una ovazione al momento della liberazione, William Noun ha subito distolto l’attenzione della folla dalla sua persona per dirigerla verso ciò che conta davvero: l’inchiesta sulla esplosione del 4 agosto 2020. “Noi vogliamo la verità sull’esplosione che è costata la vita a mio fratello, nient’altro” ha detto. Al riguardo è ormai risaputo che l’indagine per identificare gli autori di questo crimine collettivo è ostacolata dal tandem sciita, in testa a Hezbollah, mediante eccezioni e impedimenti di forma e sostanza sollevati contro il magistrato istruttore Tarek Bitar.

Commentando la procedura arbitraria riguardante il fermo, il leader del partito Kataëb, Sami Gemayel, ha denunciato una misura intimidatoria che tradisce una politicizzazione della magistratura. “La vittima - ha affermato - è in prigione, mentre i colpevoli girano liberi e impunti”. 

A oggi è noto che il giudice Bitar ha emesso mandati nei confronti di diversi ministri dei Trasporti, in particolare due esponenti del movimento Amal, attirando ricorsi di legittimo sospetto da parte degli stessi imputati. L’assurdità della situazione emerge ancora più chiaramente, quando sappiamo che il direttore della Sicurezza dello Stato, Tony Saliba, è stato perseguito nell’ambito dell’indagine del 4 agosto 2020 per violazione dei doveri inerenti la sua carica. Ciononostante, la sua apparizione è congelata dalle misure di incompetenza sollevate in modo arbitrario e pretestuoso contro Bitar, e dalla evidente mancanza di volontà nel far luce sulla vicenda che emerge da quelle stesse parti che sono in realtà coinvolte in modo più o meno diretto nell’esplosione.

Raï e il decadimento della giustizia

“Il nostro caro William Noun è stato arrestato, lui che era già stato ferito nel profondo dalla perdita del fratello nell’esplosione al porto di Beirut. Stiamo assistendo a un vero e proprio decadimento della giustizia […] diventata solo un mezzo per vendicarsi, di cattiveria e di odio […]; le forze di sicurezza esercitano pratiche poliziesche” ha denunciato il capo della Chiesa maronita, il card. Beshara Raï, durante l’omelia della messa domenicale celebrata ieri a Bkerké.

Accusando i “poteri forti” di cercare di sottrarre ai maroniti alcuni posti chiave di loro diritto, il patriarca ha poi sollevato una questione: “Com’è possibile - ha detto in sostanza - che nessun satellite abbia sorvolato il bacino del Mediterraneo orientale e il Libano la sera del 4 agosto 2020 (alle 18.07 ora locale), sapendo che l’esplosione da nitrato di ammonio è stata classificata fra le più forti deflagrazioni non atomiche del dopo guerra?”. Ciò che il patriarca intende sottolineare è la mancanza di collaborazione sul piano internazionale, per aiutare il Libano a capire come si è verificata nei fatti l'esplosione del 4 agosto. Sapendo, inoltre, che alcuni accusano Israele di aver lanciato un missile sull'hangar in cui era depositato il nitrato di ammonio e che Beirut ha chiesto, invano, alle grandi potenze foto del porto al momento dell'esplosione. 

Infine, William Noun è comparso di nuovo oggi insieme ad altre nove persone per i tafferugli della scorsa settimana con le forze di polizia davanti al Palazzo di giustizia. Il gruppo è stato rilasciato dietro cauzione con indicazione del domicilio, senza ulteriori conseguenze.

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