West Sumatra: la polizia attacca un gruppo di anziani reduci comunisti
Jakarta (AsiaNews) - Reduci e simpatizzanti dell'ex Partito comunista indonesiano (Pki) sono finiti di nuovo nel mirino di polizia e membri della sicurezza, che hanno fatto irruzione ad una manifestazione e hanno cacciato il gruppo. Il fatto è avvenuto lo scorso 22 febbraio in un quartiere di Bukittinggi, città della provincia di West Sumatra, ma è emerso solo nelle ultime ore. Un centinaio di persone, in maggioranza anziani fra i 60 e i 90 anni, si erano riuniti per ricordare le vittime delle violenze del 1965 e delle successive epurazioni del regime militare di Jakarta. Tuttavia, le forze di sicurezza sono intervenute e - come già avvenuto in altre occasioni - hanno disperso l'assembramento usando la violenza contro civili inermi.
La riunione dei reduci era stata indetta per commemorare il 15mo anniversario dalla nascita della cosiddetta Fondazione di ricerca per le vittime e gli omicidi del 1965 (Ypkp). All'evento erano presenti almeno 200 persone, soprattutto uomini e donne della terza età, che hanno la sola colpa di essere parenti delle vittime delle violenze di quegli anni o di prigionieri politici. Pur trovandosi di fronte ad anziani inermi, agenti e teppisti non hanno esitato a ricorrere all'uso della forza. Hariz Azhar, attivista pro diritti umani di primo piano, parla di "diverse persone che sono svenute, cadute a terra prive di sensi a causa delle forti percosse subite. Si tratta di persone fra i 65 e i 90 anni".
In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, qualsiasi legame con il comunismo o l'appartenenza (in passato) al defunto Pki è oggetto di controversia ancora oggi a distanza di decenni. Il tentativo di colpo di Stato promosso il 30 settembre 1965 da parte di gruppi deviati dei servizi segreti, legati al partito comunista indonesiano, con l'obiettivo di deporre il presidente Sukarno, ha lasciato un segno indelebile nella storia recente della nazione. La giornata rappresenta ancora oggi una tragedia nazionale.
La successiva ascesa al potere di Suharto, che fra il 1967 e il 1998 ha guidato il Paese col pugno di ferro, ha determinato una vera e propria caccia ai membri del partito e ai suoi simpatizzanti, rinchiusi in prigione e perseguitati con violenza e brutalità. Molti degli affiliati sono stati spediti in esilio nell'isola-carcere di Buru (l'Alcatraz indonesiana), nella provincia delle Molucche, senza nemmeno un giusto processo o il diritto di difesa nelle aule di tribunale.
Sotto il regime di Suharto - sostenuto dagli Stati Unit, dalla Cia e dal blocco Occidentale in chiave anti-sovietica e anti-cinese - sono state uccise o sono scomparse senza lasciare traccia almeno due milioni di persone, legate o sospettate di simpatie verso il movimento comunista locale. E ancora oggi perdura un clima di diffidenza, ostilità se non addirittura persecuzione verso gli ex membri del partito e gli stessi prigionieri politici, in particolare fra i reparti della polizia e gli ufficiali dell'esercito.
Secondo quanto denunciano i membri della Commissione sugli scomparsi e le vittime delle violenze di gruppo (Kontras), in Indonesia solo nel 2014 si sono verificati almeno tre diversi episodi di attacchi diretti contro reduci ed ex simpatizzanti comunisti. Le polemiche sull'uso della forza contro le riunione dei reduci comunisti hanno investito anche il presidente della Repubblica. Difatti, sebbene Joko "Jokowi" Widodo non sia direttamente responsabile degli attacchi, e in particolare dell'ultimo a West Sumatra, tuttavia egli non avrebbe difeso abbastanza il diritto di parola e la libertà di pensiero. Nelle ultime settimane il consenso attorno al capo dello Stato hanno raggiunto i minimi, anche a causa dei contrasti nella lotta alla corruzione e all'incapacità di gestire le pressioni politiche esercitate dai partiti a lui più vicini.
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