Vescovo di Yangon: qui è ancora emergenza, fate entrare gli aiuti esteri
Mons. Bo commenta le promesse della giunta di aprire ai soccorritori stranieri e aggiorna sullo stato delle operazioni avviate dalla Chiesa. Ma la giunta pone le sue condizioni: “permessi solo a chi lavorerà per la ricostruzione e senza fini politici”. Alla conferenza di Yangon i Paesi donatori promettono 100 milioni di dollari e chiedono trasparenza.
Yangon (AsiaNews) – “La fase emergenza nel Myanmar del dopo Nargis non è ancora conclusa, la maggior parte dei superstiti vive una quotidiana lotta per la sopravvivenza, ma speriamo che le promesse del governo di aprire a tutti i soccorritori internazionali diventino realtà”. A parlare è mons. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, una delle zone più colpite dal disastro. In una lettera diffusa ieri dalla diocesi il presule commenta le ultime dichiarazioni della giunta e aggiorna sullo stato dei soccorsi organizzati dalla Chiesa birmana: “abbiamo raggiunto circa 25mila persone, aspettiamo di arrivare ad altre 40mila, ma sono centinaia di migliaia quelli che hanno bisogno ancora di assistenza di base”.
Per la giunta militare, invece, si tratta ormai solo di “ricostruzione e riabilitazione” e solo le agenzie umanitarie con questi obiettivi saranno autorizzate ad intervenire. Lo ha spiegato il premier birmano, Thein Sein, alla conferenza dei paesi donatori svoltasi ieri a Yangon. Iniziano così a chiarirsi le condizioni poste dal regime all’apertura indistinta ai soccorritori esteri promessa all’Onu la settimana scorsa. Promessa che sembra legata proprio all’incontro di ieri, in cui i generali riponevano grandi aspettative di “guadagno”. Mostrandosi “flessibili” infatti speravano di ottenere più fondi possibili, nonostante la sfiducia della comunità internazionale verso quella che è la seconda nazione più corrotta al mondo. Degli 11 miliardi di dollari chiesti dal governo, le 52 nazioni e 25 organizzazioni partecipanti hanno stanziato circa 100 milioni di dollari, esigendo trasparenza e chiarezza dai militari, che di solito intascano le donazioni destinate alla popolazione. I Paesi occidentali dicono che la maggior parte del denaro sarà consegnato solo se il governo birmano concederà accesso alla regione del delta dell’Irrawaddy, finora off limits a media e soccorsi.
A tre giorni dalle dichiarazioni di maggiore “disponibilità” del capo della giunta Than Shwe, la situazione non è di molto cambiata, mentre 2,4 milioni di persone sono bisognose di tutto. E a denunciare lo stallo è la Thailandia, tra i più solidi alleati della giunta. “Hanno (i generali) aperto di più, ma solo ai media esteri e ad alcuni operatori per vedere le aree devastate”, riferisce il ministro thailandese degli Esteri, Noppadon Pattama. I visti per tutti gli altri stranieri verranno valutati caso per caso. Oltre a negare o ritardare l'emissione dei permessi ai funzionari delle Ong, una serie di posti di blocco impedisce ancora a stranieri e birmani di lasciare la ex capitale Yangon e avvicinarsi al delta.
“Nonostante la grande distruzione – aggiunge mons. Bo - tra gli sfollati c’è “speranza e dignità”, mentre “la solidarietà che arriva dall’interno e dall’estero dimostra la grande generosità del genere umano”.
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