Vescovo di Padang: nell’incontro col Papa, la forza per “continuare la missione”
di Dario Salvi
Mons. Martinus Dogma Situmorang, presidente dei vescovi indonesiani, è a Roma per la visita ad limina. Egli descrive una Chiesa “viva e vivace”, che guarda al “fervore della fede e al contributo” che i cattolici offrono nella costruzione della nazione. Il dialogo con i musulmani e un invito all’Occidente: non servono solo “compassione ed elemosina”.
Roma (AsiaNews) – La Chiesa indonesiana è “viva e vivace”, cresce nei numeri “sia per le nuove nascite che per i casi di conversione”; tuttavia, ciò che conta “non è il numero di cattolici, ma il fervore della loro fede e il contributo che forniscono” allo sviluppo del Paese, alla società civile e al rapporto con la maggioranza musulmana. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Martinus Dogma Situmorang, vescovo di Padang, provincia di West Sumatra (nell’Indonesia occidentale) e presidente della Conferenza episcopale indonesiana. Il prelato è Roma per la visita ad limina dei vescovi indonesiani e, questa mattina, ha incontrato Benedetto XVI. “Al papa – confida il vescovo di Padang – porgeremo i saluti dei nostri fedeli”, chiedendo indicazioni sul “ruolo che possiamo portare avanti come Chiesa giovane”, in un’area del mondo aperta all’opera di evangelizzazione e annuncio della Parola di Dio. E la forza, aggiunge, per “continuare la nostra missione”.
Ecco, di seguito, l’intervista rilasciata da mons. Martinus Dogma Situmorang ad AsiaNews:
Eccellenza, può raccontare la realtà della giovane Chiesa indonesiana?
È viva e vivace, cresce nel numero sia per le nascite, sia per quanti si convertono in età adulta. Ma cresce anche e soprattutto nella fede e nella maturità degli atti, nel settore della formazione educativa, nel campo sanitario con le diverse opere. Essa è viva e cresce nella partecipazione dei nostri laici, non solo come chierichetti attorno all’altare, ma nella vita quotidiana, nella vita politica, economica e sociale del Paese esercitandone un’influenza. Per quanto concerne le conversioni arrivano soprattutto da quanti professavano in precedenza religioni tipiche della tradizione locale, animista, e poi dalla protestante verso quella cattolica.
Con i musulmani, la situazione è più delicata…
In via ufficiale non sono ammesse conversioni, ma senza dubbio chi desidera farlo con convinzione e pienezza di fede intraprende tutti i passi possibili, in modo aperto o di nascosto. In realtà non abbiamo stime precise [sulle conversioni] e nemmeno ci interessiamo ai numeri, perché come Chiesa non guardiano alla quantità, ma al fervore della fede, e come essa si esercita e influisce per il bene spirituale e materiale della gente.
Con la maggioranza dei musulmani viviamo in pace e in modo fraterno. Dobbiamo cambiare il luogo comune secondo cui siamo perseguitati e relegati ai margini della vita della nazione. Vi sono incidenti, ma con i capi delle comunità musulmane abbiamo un buon rapporto di collaborazione, diamo orientamenti comuni, materiali e spirituali, per il popolo. Purtroppo in alcune parti dell’arcipelago cresce un’atmosfera ‘poco fraterna’, soprattutto nelle aree in cui vengono imposte le leggi islamiche nella vita pubblica. Queste leggi non sono in accordo con la nostra Costituzione e i principi fondatori dello Stato.
Mons. Situmorang, qual è il messaggio della Chiesa indonesiana alle giovani generazioni, che spesso guardano alla ricchezza e al lavoro come beni primari?
Anche nel nostro Paese abbiamo visto e vissuto questa tendenza che è intrinseca alla modernità e allo sviluppo. Ma siamo consci del nostro compito educativo, che è quello di insegnare ai giovani che la ricchezza spirituale non è una mancanza, non è un debito che fa perdere altre possibilità di prosperità e benessere materiale. Al contrario, una vita esclusivamente materiale e consumistica fa perdere il senso più profondo dell’esistenza. Sarebbe un errore quello di escludere la vita spirituale, interiore.
Ogni cittadino deve dare un contributo, guardando ai Pancasila, i cinque pilastri sui quali è costruita la nazione, dopo una lunga riflessione promossa dai padri fondatori. Come cittadino indonesiano, il cattolico deve contribuire e lo fa se persegue l’ideale di responsabilità, se non si lascia toccare da fenomeni quali la corruzione, da una mentalità egoistica, soprattutto se è un dipendente pubblico. Oltretutto, i valori cristiani hanno molto da dire e fare per il Paese: la carità ci invita ad andare oltre il senso comune di giustizia e guardare a fondo al bene di tutti.
Eccellenza, cosa chiede la Chiesa indonesiana alle Chiese e alle società di Europa e Occidente?
Le Chiese e le società occidentali dovrebbero guardare di più a quei beni così preziosi, a quei contributi che hanno saputo dare al mondo moderno e che sono alla base del sapere e della cultura: la filosofia, la logica, la genialità, l’inventiva… è necessario riflettere più a fondo nella vita quotidiana, ragionare su quale sia la sostanza del nostro essere qui, oggi. La terza cosa, infine, che Chiese e società guardino alla nostra realtà e al nostro mondo con stima profonda e sincera, con onestà e non come soggetti meritevoli solo di compassione o elemosina. Questo vale anche per i governi: mi rattrista questa logica dell’interesse alla base del rapporto fra nazioni, in cui manca il desiderio reale di far progredire tutte le genti della terra.
Qual è il valore dell'incontro con papa Benedetto XVI?
Come delegati della Chiesa indonesiana, porteremo la nostra viva testimonianza di fede, la speranza della carità cristiana. Al papa, noi vescovi porgeremo i saluti dei nostri fedeli; a lui chiederemo quale ruolo possiamo promuovere come Chiesa giovane ed entusiasta in quella parte del mondo, insieme alla benedizione apostolica per avere la forza di continuare la nostra missione. Le nostre opere sociali non sono un luogo di proselitismo, ma dei centri di carità al servizio della gente, di qualunque religione essa sia. La testimonianza non è solo nelle parole, ma nelle opere che portiamo avanti ogni giorno: scuole, ospedali, servizi aperti a tutti, soprattutto ai poveri che in molti casi trovano maggiore accoglienza nella chiesa rispetto alle strutture pubbliche.
Ecco, di seguito, l’intervista rilasciata da mons. Martinus Dogma Situmorang ad AsiaNews:
Eccellenza, può raccontare la realtà della giovane Chiesa indonesiana?
È viva e vivace, cresce nel numero sia per le nascite, sia per quanti si convertono in età adulta. Ma cresce anche e soprattutto nella fede e nella maturità degli atti, nel settore della formazione educativa, nel campo sanitario con le diverse opere. Essa è viva e cresce nella partecipazione dei nostri laici, non solo come chierichetti attorno all’altare, ma nella vita quotidiana, nella vita politica, economica e sociale del Paese esercitandone un’influenza. Per quanto concerne le conversioni arrivano soprattutto da quanti professavano in precedenza religioni tipiche della tradizione locale, animista, e poi dalla protestante verso quella cattolica.
Con i musulmani, la situazione è più delicata…
In via ufficiale non sono ammesse conversioni, ma senza dubbio chi desidera farlo con convinzione e pienezza di fede intraprende tutti i passi possibili, in modo aperto o di nascosto. In realtà non abbiamo stime precise [sulle conversioni] e nemmeno ci interessiamo ai numeri, perché come Chiesa non guardiano alla quantità, ma al fervore della fede, e come essa si esercita e influisce per il bene spirituale e materiale della gente.
Con la maggioranza dei musulmani viviamo in pace e in modo fraterno. Dobbiamo cambiare il luogo comune secondo cui siamo perseguitati e relegati ai margini della vita della nazione. Vi sono incidenti, ma con i capi delle comunità musulmane abbiamo un buon rapporto di collaborazione, diamo orientamenti comuni, materiali e spirituali, per il popolo. Purtroppo in alcune parti dell’arcipelago cresce un’atmosfera ‘poco fraterna’, soprattutto nelle aree in cui vengono imposte le leggi islamiche nella vita pubblica. Queste leggi non sono in accordo con la nostra Costituzione e i principi fondatori dello Stato.
Mons. Situmorang, qual è il messaggio della Chiesa indonesiana alle giovani generazioni, che spesso guardano alla ricchezza e al lavoro come beni primari?
Anche nel nostro Paese abbiamo visto e vissuto questa tendenza che è intrinseca alla modernità e allo sviluppo. Ma siamo consci del nostro compito educativo, che è quello di insegnare ai giovani che la ricchezza spirituale non è una mancanza, non è un debito che fa perdere altre possibilità di prosperità e benessere materiale. Al contrario, una vita esclusivamente materiale e consumistica fa perdere il senso più profondo dell’esistenza. Sarebbe un errore quello di escludere la vita spirituale, interiore.
Ogni cittadino deve dare un contributo, guardando ai Pancasila, i cinque pilastri sui quali è costruita la nazione, dopo una lunga riflessione promossa dai padri fondatori. Come cittadino indonesiano, il cattolico deve contribuire e lo fa se persegue l’ideale di responsabilità, se non si lascia toccare da fenomeni quali la corruzione, da una mentalità egoistica, soprattutto se è un dipendente pubblico. Oltretutto, i valori cristiani hanno molto da dire e fare per il Paese: la carità ci invita ad andare oltre il senso comune di giustizia e guardare a fondo al bene di tutti.
Eccellenza, cosa chiede la Chiesa indonesiana alle Chiese e alle società di Europa e Occidente?
Le Chiese e le società occidentali dovrebbero guardare di più a quei beni così preziosi, a quei contributi che hanno saputo dare al mondo moderno e che sono alla base del sapere e della cultura: la filosofia, la logica, la genialità, l’inventiva… è necessario riflettere più a fondo nella vita quotidiana, ragionare su quale sia la sostanza del nostro essere qui, oggi. La terza cosa, infine, che Chiese e società guardino alla nostra realtà e al nostro mondo con stima profonda e sincera, con onestà e non come soggetti meritevoli solo di compassione o elemosina. Questo vale anche per i governi: mi rattrista questa logica dell’interesse alla base del rapporto fra nazioni, in cui manca il desiderio reale di far progredire tutte le genti della terra.
Qual è il valore dell'incontro con papa Benedetto XVI?
Come delegati della Chiesa indonesiana, porteremo la nostra viva testimonianza di fede, la speranza della carità cristiana. Al papa, noi vescovi porgeremo i saluti dei nostri fedeli; a lui chiederemo quale ruolo possiamo promuovere come Chiesa giovane ed entusiasta in quella parte del mondo, insieme alla benedizione apostolica per avere la forza di continuare la nostra missione. Le nostre opere sociali non sono un luogo di proselitismo, ma dei centri di carità al servizio della gente, di qualunque religione essa sia. La testimonianza non è solo nelle parole, ma nelle opere che portiamo avanti ogni giorno: scuole, ospedali, servizi aperti a tutti, soprattutto ai poveri che in molti casi trovano maggiore accoglienza nella chiesa rispetto alle strutture pubbliche.
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