03/05/2022, 11.46
ISOLE SALOMONE - CINA
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Vescovo di Gizo: 'Non delegare il diritto all'autodifesa delle Salomone'

di Alessandra De Poli

Al piccolo arcipelago del Pacifico, chiamato così perché si pensava ospitasse le miniere di re Salomone, in realtà manca tutto: ospedali, infrastrutture, aeroporti. La Cina, offertasi di portare un certo grado di sviluppo, è accolta come liberatrice. Ma schierarsi non è la soluzione, commenta ad AsiaNews mons. Luciano Capelli.

Gizo (AsiaNews) - È di ieri la notizia secondo cui la presenza militare della Cina sulle Isole Salomone si manterrà sotto la supervisione delle autorità locali. Lo ha detto l’ambasciatore delle Isole Salomone in Australia, Robert Sisilo, che ha voluto rassicurare l’opinione pubblica occidentale sul fatto che le Forze di sicurezza cinesi, anche quando verranno schierate, non utilizzerà le stesse tecniche repressive viste a Hong Kong. Rassicurazioni che tuttavia non bastano per far dormire sonni tranquilli ad Australia e Nuova Zelanda, da subito contrarie al patto sulla sicurezza siglato nelle scorse settimane tra Honiara e Pechino.

L’intervento cinese è stato chiesto dopo che la polizia locale delle Isole Salomone ha faticato a contenere le rivolte antigovernative nella Chinatown della capitale a novembre.

Ma non è la prima volta che nel piccolo arcipelago viene dispiegata una forza militare esterna, racconta ad AsiaNews il vescovo di Gizo, mons. Luciano Capelli: “Sono qui da 23 anni, da poco dopo che sono cominciati gli scontri etnici tra le isole di Guadalcanal e Malaita”. Nel 2003 è stato chiesto l’intervento della Regional Assistance Mission for Solomon Islands (RAMSI), una forza multinazionale a guida australiana “che in 13 anni ha riportato la pace e formato la polizia locale”, prosegue il vescovo.

Poi a novembre 2021 sono scoppiate di nuovo le tensioni: gli abitanti dell’isola di Malaita avevano protestato contro il governo guidato dal primo ministro Manesseh Sogavare per la scelta di interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan e allacciarle con la Cina.

“Come Solomon Islands Church Association avevamo fatto un appello al dialogo”, prosegue il presule. “Ma il premier in carica lo ha del tutto ignorato e in un primo momento aveva chiamato l’Australia a riportare l’ordine. Mentre ora fa questi accordi con la Cina i cui dettagli non sono stati divulgati”.

Non è chiaro in che percentuale la popolazione sia contraria o a favore di questi nuovi accordi sulla sicurezza. Le Chiese, dice mons. Capelli, ora “sono silenziose”. 

Non è però nemmeno difficile capire perché l’attuale governo abbia virato verso la Cina. Lo stesso mons. Capelli viene chiamato il “vescovo volante” perché si muove in idrovolante per la diocesi: “La popolazione, poco più di 700mila abitanti, vive isolata su 1.000 isole difficilmente raggiungibili con mezzi e materiali di sussistenza minima. Per andare nelle stazioni missionarie ho dovuto imparare a pilotare l'idrovolante; poi per portare cibo alle nostre scuole ho dovuto comprare due piccole imbarcazioni perché in mancanza di moli dobbiamo prima scaricare la merce su una barchetta e poi portarla a riva. Manca proprio tutto”.

Continua a spiegarci la realtà locale il vescovo di Gizo: “Guadalcanal, per esempio, l’isola più grande, non ha un ospedale regionale, ma solo quello nazionale dove arrivano tutti i pazienti mandati dalle altre regioni”.

È chiaro allora che “quando arriverà una 'Cina qualunque' a farci un ospedale sarà sempre accolta come liberatrice”. Ai debiti, perché a Honiara verrà chiesto di pagare, questo è certo, solo non si sa quando, ci si penserà in un secondo momento: “Nei 23 anni che sono stato qui non ho visto alcun interesse da parte degli Stati Uniti, che non hanno nemmeno sminato una pista dell’aeroporto ancora inutilizzabile a causa delle loro bombe lanciate contro i giapponesi durante la Seconda guerra mondiale”, commenta mons. Capelli. “Abbiamo già avuto un conflitto tra grandi potenze qui e non ne vogliamo un altro”. Soprattutto guardando a quello che sta succedendo in Ucraina.

“Noi salesiani conosciamo bene il regime cinese", continua ancora il religioso di Don Bosco. "Molti si ricordano le torture e decenni di lavoro forzato. Vediamo tutti lo stato della Chiesa. Sappiamo anche però che la Cina sta costruendo infrastrutture mai viste qui per i Giochi del Pacifico del 2023, ad esempio”.

Al momento il governo di Honiara dice di non aver autorizzato la costruzione di una base militare cinese, ma non è da escludere che possa avvenire in futuro. Australia e Nuova Zelanda, gli alleati tradizionali, si sentono minacciate in quello che hanno sempre considerato il loro “cortile di casa”.

Secondo il vescovo però la soluzione non è scegliere di schierarsi da una parte o dall’altra: “Stiamo cercando di entrare in una nuova trappola dove due o più superpotenze si lanceranno di nuovo bombe a Henderson o a Visale?”, si chiede mons. Capelli. “Siamo un popolo amante della pace. Eliminiamo la corruzione e le nostre beghe locali e facciamo decollare i progetti di sviluppo del Paese senza che i soldi vadano nelle tasche dei singoli. Non possiamo farcela da soli se ci liberiamo della corruzione e lavoriamo sodo come una squadra? Senza delegare il nostro diritto all'autodifesa a nessuno, specialmente a un Paese che non sembra rispettare la democrazia”.

È una strada in salita, ammette, ma da buon salesiano mons. Capelli crede nel valore dell’educazione e della fatica: “Ci sarà un duro lavoro da fare, ma manterremo la nostra libertà dalle pressioni, la nostra sovranità e dignità di piccola nazione orgogliosa di se stessa”.

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