Vescovo dell’Orissa: Dopo le violenze, occorre riconciliazione ma anche giustizia
di Raphael Cheenath
A oltre un anno e mezzo dal pogrom anticristiano nell’Orissa e nel distretto di Kandhamal, la maggior parte dei 54 mila cristiani fuggiti non torna perché minacciati a convertirsi all’induismo. Su migliaia di denunce, si sono fatti solo pochi processi. Molti assassini, fra cui i politici della zona, rimangono a piede libero. La denuncia di mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar.
Bhubaneshwar (AsiaNews) – Durante una conferenza stampa tenuta ieri nella capitale dell’Orissa, mons. Cheenath, arcivescovo della città, ha denunciato la lentezza con cui i tribunali affrontano le centinaia di casi di violenze avvenute contro i cristiani durante il pogrom del 2008, soprattutto nel distretto di Kandhamal. Egli denuncia pure la lentezza con cui avviene la ricostruzione, lasciando decine di migliaia di persone nella miseria delle baraccopoli e senza lavoro; il cinismo delle autorità nel restaurare la dignità dei cristiani colpiti. Ecco la dichiarazione da lui diffusa, che presentiamo nella sua forma integrale.
Nonostante quanto dica lo Stato e gli amministratori di distretto, la dignità umana, i diritti e la vita dei cristiani vittime delle violenze del 2008 rimangono ancora lontana dalla normalità. Quindici mesi dopo il loro essere sradicati, migliaia vivono ancora in baracche provvisorie lungo le strade e nelle foreste, senza nessun segno di riabilitazione, soggetti a violenze da parte di gruppi e poliziotti. Centinaia di bambini sono nati in queste condizioni. Vogliamo piena riconciliazione e una pace durevole per il Kandhamal, ma essa sarà possibile quando la giustizia sarà trasparente, le vite saranno ricostituite e la gente potrà tornare ai propri villaggi senza paura. Non vogliamo alcuna ghettizzazione nel distretto.
Le autorità hanno fallito in tre aspetti: il rito abbreviato nel sistema della giustizia è stato sovvertito terrorizzando i testimoni e praticando inchieste superficiali; l’assistenza del governo nella ricostruzione delle case è stata inadeguata; non vi è stato alcun progetto di miglioramento nel garantire lavoro, sussistenza, educazione. Dobbiamo ricordare che le violenze sono iniziate sotto lo sguardo del capo di distretto e quello del capo e delle forze di polizia, e che le folle hanno attaccato i cristiani fin nel quartier generale della polizia.
La Chiesa non ha ricevuto alcuna assistenza nel ricostruire i suoi luoghi di preghiera e le sue istituzioni di sviluppo sociale. Essa ha offerto un grande aiuto, ma il compito è troppo grande per un’organizzazione non governativa. Da parte del governo occorre volontà politica per attuare schemi speciali [di aiuto]. Noi siamo desiderosi di coinvolgerci al meglio delle nostre capacità e risorse, ma non esiteremo ad andare fino all’Alta corte dell’Orissa e alla Corte suprema dell’India se la miseria della gente non verrà lenita.
Non si può lasciarli vivere un’altra estate e un’altra stagione dei monsoni senza un riparo sopra le loro teste. Le vittime necessitano di compassione, ma l’amministrazione continua ad erigere muri fatti di regole [per fermare] il soccorso e la ricostruzione. Molti gruppi per i diritti umani hanno già messo in guardia sul problema del traffico di ragazze giovani nel distretto.
La lunga lista di violenze e distruzioni
All’inizio, dalle 10 alle 11 mila famiglia sono state cacciate dalle loro case con la violenza. Circa 1200 famiglie sono emigrate verso Bhubaneshwar o verso altri Stati dell’India. Più di 6 mila rifugiati vivono nella baraccopoli di Saliasahi (nell’area della capitale), e decine di migliaia lavorano come manovali nell’Andhra Pradesh e in altri Stati lontani come il Kerala e il Punjab. Intorno a 200-300 famiglie continuano a risiedere ne distretto, in campi di rifugio privati. Almeno 4 mila famiglie continuano a vivere sotto le tende, in baracche provvisorie o fra i resti delle loro case distrutte. Il numero di coloro che hanno ricevuto assistenza finanziaria dal governo, dalla Chiesa o da qualche ong non è chiaro, ma si pensa siano circa 1100 persone.
I cristiani Dalit sono quelli che soffrono di più e ad essi viene negato lavoro, terra e altri titoli. Gli schemi governativi annunciati dal Chief minister devono abbracciare tutte le comunità. E ciò deve avvenire anche per l’impiego negli uffici della polizia speciale. L’autorità del distretto sembra non avere alcuna possibilità per offrire tale lavoro ai Dalit.
Nelle violenze fra il 25 agosto e il dicembre 2008, almeno 5347 case sono state razziate e distrutte dalle fiamme; molte donne e ragazze violentate e più di 75 persone sono state assassinate in nome della religione e dell’etnia. Ne è seguito uno sfollamento e una migrazione in larga scala, con più di 54 mila persone divenute rifugiati nella loro stessa patria. L’amministrazione ha fissato in modo arbitrario a 50 mila rupie il prezzo di una casa distrutta, anche se il costo di ricostruzione è dalle 80 mila rupie in su. Allo stesso modo, l’amministrazione ha catalogato come “parzialmente distrutte” delle case distrutte in modo completo, offrendo ancora minor aiuto. La maggior parte delle case sono totalmente distrutte e noi vogliamo che l’amministrazione dia un pieno compenso.
L’impegno della Chiesa
La Chiesa sta donando almeno un minimo di sostegno per 2500 case, ma anche dopo questo, 3 mila famiglie sono ancora senza casa. Fino ad ora la Chiesa ha collaborato a ricostruire 181 case distrutte in modo completo e 546 case distrutte in modo parziale. Abbiamo distribuito materiale di costruzione a 752 famiglie, e i lavori sono in corso solo a Riakia e nei Nuagam Blocks.
Anche se non abbiamo dati precisi riguardo alle vittime tornate ai loro villaggi a risiedere, una stima ci fa dire che circa un terzo dei 54 mila cristiani sfollati per la violenza sono tornati ai loro villaggi, nonostante quanto dica l’amministrazione. Alcuni di loro non vogliono per nulla tornare per paura, dato che vengono costretti a divenire indù se vogliono tornare a casa.
Molte famiglie colpite non sono ancora iscritte nelle liste per i compensi governativi, privandole di ogni sostegno per la ricostruzione. Questa è una pratica iniqua, dovuta alla corruzione e all’indifferenza dei responsabili governativi locali.
Per una pace duratura, la giustizia è essenziale. Le due corti a rito abbreviato (Fast Track courts) e gli ambienti vicino ai tribunali danno luogo a una giustizia mascherata. Le aree dei tribunali sono piene di importanti attivisti di organizzazioni fondamentaliste. I testimoni vengono minacciati di morte fin nelle loro case, perfino i parenti alla lontana vengono pressati, specialmente nei casi di assassinio e incendio doloso contro il parlamentare Manoj Pradhan. Sebbene alcuni testimoni abbiano fatto la loro deposizione con coraggio sul suo coinvolgimento, in un caso dopo l’altro egli è stato lasciato fuori [Cfr. 30/10/2009 Orissa: libero su cauzione il politico indù accusato di 7 omicidi di cristiani].
Noi chiediamo un gruppo speciale di inchiesta per investigare ogni caso di assassinio e di incendio. Allo stesso modo, c’è bisogno di trasferire fuori da Kandhamal – magari a Cuttack o Bhubaneshwar - i casi contro personalità politiche influenti come Manoj Pradhan.
Giustizia col contagocce
Siamo molto preoccupati per l’alta percentuale di casi di assoluzione nelle corti a rito abbreviato. Le vittime hanno compilato 3232 denunce alla stazione di polizia di Kandhamal. Di queste, la polizia ne ha registrate solo 832. Almeno 341 casi erano a G Udaigiri; 98 a Tikabali e 90 a Raikia, seguite da altre. Anche su quel ristretto numero, solo 123 casi sono stati trasferiti alle due corti di rito abbreviato. Fino ad ora 71 casi hanno avuto il processo; altri 63 sono stati cancellati. Di quelli, solo 25 casi hanno portato a condanne, ma soltanto parziale perché la maggior parte degli accusati non sono stati arrestati o portati davanti alla corte. Solo 89 persone sono state condannate fino ad ora, mentre almeno 251 persone sono state scagionate e lasciate libere, pur essendoci testimonianze contro di loro. Fra questi vi è Manoj Pradhan. È strano che nel caso di 10 assassinii, nove sono stati chiusi senza alcun condannato, mentre c’è una condanna parziale nel caso di un’uccisione. Chi porterà giustizia nel caso degli altre nove?
Noi domandiamo che avvocati indipendenti siamo associati ai Pubblici ministeri speciali che sono sovraffaticati dal lavoro. I testimoni e le vittime necessitano pieno aiuto legale, così che i vari casi vengano perseguiti con vigore e giustizia.
Ricompensa, impiego e problema delle terre
Il pacchetto delle ricompense offerto dal governo statale è molto esiguo, non sufficiente per la ricostruzione delle case o per altri progetti. Questa è una calamità nazionale e richiede un pacchetto speciale per le persone colpite, che comprenda terra, salari, educazione e salute, ecc…affinché le povere famiglie innocenti che hanno perso tutto, possano essere riabilitate in modo congruo. Il governo e l’amministrazione sta tirando fuori ogni scusa per allontanare la gente dalla terra dove essi hanno vissuto e coltivato per generazioni. Ci dovrebbe essere una giusta ridistribuzione delle terre nel distretto, anche per coloro che non ne hanno.
Un “libro bianco” del governo sulle terre
Sopra a tutto, il governo deve mantenere una posizione di neutralità e trasparenza. I rappresentanti delle forze dell’ordine hanno giocato coi fatti, indulgendo in pratiche corrotte e in esercizi di cosmesi non appena politici e altre personalità vengono in visita o in ispezione. Persone innocenti vengono costrette a raccontare e dare un’immagine falsa.
Il Chief minister deve investigare sul ruolo e la funzione dell’intero distretto amministrativo, compreso il District collector, le forze dell’ordine e altri collegati alle operazioni. È molto strano che rappresentanti del governo, alla cui presenza sono avvenute violenze e incendi di case, rimangono ancora nelle loro cariche, dichiarando che vi è pace nei loro distretti.
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