Vescovo curdo: raid aerei turchi nuova minaccia per i cristiani fuggiti dallo Stato islamico
Duhok (AsiaNews) - Gli attacchi aerei della Turchia contro i combattenti del Pkk nelle montagne del Kurdistan irakeno “cominciano a fare paura”. I raid hanno provocato “morti, feriti e distruzioni” e la regione vive “una nuova situazione di pericolo”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Rabban al-Qas, vescovo di Duhok (Kurdistan irakeno), nell’omonimo governatorato al confine con Turchia e Siria, dove hanno trovato riparo centinaia di migliaia di cristiani fuggiti dalla piana di Ninive, per l’arrivo dello Stato islamico. La regione di Duhok dove vi sono molte famiglie di profughi è “lambita dai bombardamenti” e questo alimenta il desiderio di fuga dei cristiani. “La notte dal villaggio di Komane - aggiunge il prelato - si vedono i caccia turchi bombardare le montagne curde, dove si rifugiano i combattenti del Pkk. Gli abitanti dei villaggi, i profughi cristiani sono impauriti”.
Nella notte fra il 6 e il 7 agosto dello scorso anno centinaia di migliaia di persone hanno lasciato i villaggi della piana di Ninive, da Qaraqosh a Karameles, a grande maggioranza cristiana, trovando rifugio a Erbil e in altre aree del Kurdistan.
La scorsa settimana il patriarca caldeo mar Louis Raphael I Sako ha indirizzato a papa Francesco e ai vescovi di tutto il mondo una preghiera per ricordare il dramma di questa comunità perseguitata. Un appello alla pace e alla sicurezza “prima che sia troppo tardi” e la forza “di rimanere saldi in questa tempesta”.
Per mons. Rabban è “necessaria” una “pressione internazionale” diretta su Ankara, perché metta fine “ai bombardamenti nella nostra regione” dopo aver “lasciato aperte le frontiere agevolando gli spostamenti e i rifornimenti a Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico, ndr]”. Anche il presidente curdo Massoud Barzani e il governo centrale a Baghdad hanno chiesto alla Turchia di non fare la guerra e di rispettare i confini territoriali dell’Iraq”. Una frontiera, aggiunge, che “gli aerei turchi non sembrano intenzionati a rispettare”. Barzani ha dato l’ordine ai combattenti del Pkk di lasciare la regione, perché “se vogliono la guerra, che la facciano oltre-frontiera”.
Intanto la vita delle famiglie di profughi cristiani prosegue in una condizione di “lenta normalizzazione”, racconta mons. Rabban, perché “molti di loro lavorano, alcuni hanno aperto delle attività, si cercano di formare gruppi di collaborazione, contando sull’aiuto delle associazioni”. Fra queste vi sono in prima fila “le realtà cattoliche, che danno sostegno materiale e assistenza tecnica, conoscenze, esperienza”. Le parole di vicinanza, il sostegno concreto - avverte il vescovo di Duhok - fanno molto per aiutarci e per restituirci il progetto di un futuro”. E per contrastare, aggiunge, quei gruppi e quelle organizzazioni che cercano di promuovere la fuga all’estero dei cristiani (via Giordania e Libano), “lucrando sulla loro condizione e sfruttandone le paure e i timori”.
A testimonianza di una comunità viva, che continua a crescere e mantenere salda la fede pur nelle difficoltà, il vescovo riferisce che il prossimo fine settimana “più di 50 fra bambini e bambine della diocesi riceveranno la prima comunione. E poi battesimi, matrimoni, cresime…”. Molte famiglie fuggite da Mosul e dalla piana di Ninive un anno fa “ora si sono stabilizzate, ad Ankawa come a Duhok, hanno comprato casa e si stanno ricostruendo una vita perché hanno capito che non potranno tornare a breve nei loro villaggi - conclude il vescovo - e sono determinate a restare qui in Kurdistan”.(DS)
19/08/2021 14:04