17/03/2010, 00.00
FILIPPINE
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Vescovi filippini chiedono la liberazione dei 43 volontari da un mese nelle mani dell’esercito

di Santosh Digal
L’appello diffuso in questi giorni è stato firmato da oltre mille persone tra leader religiosi e politici. Essi accusano l’esercito di violazione dei diritti umani. Gli operatori sanitari lavoravano per una o.n.g. locale. L’esercito gli ha arrestati lo scorso 6 marzo con la falsa accusa di fabbricare armi e bombe utilizzate dai ribelli comunisti del New People Army.

Manila (AsiaNews) – Vescovi, leader religiosi e politici chiedono a esercito e governo l’immediata liberazione di 43 operatori sanitari volontari detenuti dal 6 febbraio scorso a Morong (provincia di Rizal) con la falsa accusa di appoggiare i ribelli comunisti del New People Army (Npa). L’appello è stato diffuso in questi giorni sui media nazionali e firmato da oltre mille persone tra politici e leader  religiosi cattolici e protestanti.   

“L’ingiustizia non deve avere spazio nella società – afferma Edward Malecdan responsabile della chiesa episcopale filippina – soprattutto quando colpisce quelle persone che cercano di dare aiuto ai nostri fratelli bisognosi”.

 I 43 volontari partecipavano a un corso di aggiornamento tenuto dalla o.n.g. Couincil for health and development presso il Philippine General Hospital consultant dr. Melecia Velmonte  nel villaggio di Morong a circa 100 chilometri dalla capitale. Durante la lezione oltre 300 militari hanno fatto irruzione nell’ospedale e li hanno arrestati. Secondo l’esercito, il gruppo di volontari era in possesso di esplosivi ed armi da fuoco utilizzate per appoggiare la guerriglia dei ribelli comunisti dell’Npa attivi nella zona. Dopo l’arresto, i volontari sono stati trasportati in un campo militare dove da un mese subiscono torture fisiche e psicologiche.  

“L’arresto è basato su false accuse ed è stato compiuto in violazione delle normali norme di legge – afferma p. Joe Dizon, sacerdote e attivista per i diritti umani – deploriamo le torture inflitte ai volontari, costretti a continui interrogatori, a stare bendati per oltre 36 ore e privati di assistenza legale e medica”.  

Lo scorso 10 marzo la Corte d’appello ha rifiutato una petizione firmata dai famigliari degli arrestati e confermato la competenza del caso al tribunale della provincia di Rizal. I parenti hanno annunciato che faranno ricorso alla Corte suprema.

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