Veloso nelle Filippine entro Natale. Migranti più vulnerabili anche nel braccio della morte
La soluzione del caso della donna condannata al patibolo per droga che potrà essere estradata da Jakarta nel suo Paese dove non vige la pena capitale, ha riaperto la discussione in tutto il Sud-est asiatico dove è ancora ampiamente applicata in Indonesia, Singapore e Vietnam. L'appello: "Priorità alla protezione delle comunità più vulnerabili, spesso vittime di errori di giudizio".
Jakarta (AsiaNews) - La decisione del governo indonesiano di rimpatriare la filippina Mary Jane Veloso entro Natale e la firma necessaria del provvedimento di clemenza da parte del presidente indonesiano Pabowo Subianto sono state accolte con soddisfazione ma anche come un passo importante nell’impegno di quanti chiedono l’abolizione della pena di morte nel Sud-Est asiatico.
Alla 39enne cittadina filippina arrestata nel 2010 per il possesso di 2,6 chilogrammi di eroina e dal 2015 condannata a morte in attesa di esecuzione, ieri sono stati comunicati la scarcerazione e il rimpatrio nelle Filippine dove il suo caso sarà sottoposto alla giustizia locale, che evidenzia l’importanza della cooperazione regionale sui temi della giustizia e dei diritti umani. “Questo risultato testimonia il potere effettivo dell’azione collettiva, della solidarietà e di uno sforzo prolungato di attivisti in tutto il Sud-Est asiatico” ha commentato la notizia Mercy Chriesty Barends, membro della Camera dei rappresentanti indonesiana. Che ha pure sottolineato come “il caso di Mary Jane sia un forte promemoria della vulnerabilità dei lavoratori migranti e dei fallimenti sistematici che li espongono a sfruttamento e ingiustizia”.
A sua volta, Arlene D. Brosas, parlamentare filippina e esponente del gruppo dei parlamentari dell’Asean per i Diritti umani, ha invitato “il governo filippino a garantire clemenza alla Veloso al suo ritorno, riconoscendo che si tratta di una vittima dello sfruttamento degli esseri umani piuttosto che di una criminale”.
Sono molti i richiami ai governi regionali (soprattutto quelli tra gli undici del Sud-est asiatico dove ancora vige la pena di morte, applicata o sottoposta da tempo a moratoria delle esecuzioni) a dare priorità alla protezione delle comunità più vulnerabili, a rafforzare le salvaguardie per i migranti, a abolire misure punitive che perpetuano ineguaglianze e aprono a clamorosi e irreversibili errori di giudizio come, appunto, nell’applicazione della pena capitale.
Allo stato attuale, Indonesia, Singapore e Vietnam prevedono ancora nel proprio ordinamento la condanna a morte con una funzione di deterrenza. Myanmar, Laos e Brunei avevano visto negli ultimi anni un numero di esecuzioni ridotto; ora però per il Myanmar la situazione è incerta data la situazione di controllo militare e di guerra civile in corso, mentre nel musulmano Brunei la pena caitale è prevista nel contesto dell’applicazione radicale della Sharia. La Cambogia, nonostante un regime illiberale e autocratico, l’ha abolita nel 1989, seguita nel 2006 dalle Filippine (dove peraltro non sono mancate pressioni per il suo ripristino) e nel luglio 2023 dalla Malaysia per un gran numero di delitti dopo un lustro di sospensione delle esecuzioni (ma con 1.300 detenuti nel braccio della morte la cui sorte resta incerta). La moratoria è applicata anche in Thailandia mentre Timor Est, unico a non fare parte integralmente dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) la esclude nella sua Costituzione.
Foto: Flickr/Lennon Ying-Dah Wong