03/02/2025, 10.50
TURCHIA
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Vakıflı: l’ultimo villaggio armeno della Turchia a rischio esproprio

Un progetto di ricostruzione post sisma rischia di provocare un radicale cambiamento demografico. L’area si trova nella provincia di Hatay ed la sola rimasta in seguito allo sfollamento forzato dei residenti dalla regione di Musa Dagh nel 1915. Previste nuove abitazioni e centri commerciali. Nuova stretta delle autorità di governo contro oppositori e critici, nel mirino anche İmamoğlu. 

Istanbul (AsiaNews) - In Turchia l’ultimo villaggio di origine armena situato sulle pendici del Mussa Dagh, nel sud del Paese e nei pressi del confine con la Siria, deve fronteggiare la minaccia di esproprio da parte delle autorità di governo. A lanciare l’allarme è il sito di informazione Bianet che cita fonti locali, secondo cui un nuovo progetto abitativo legato a opere di ricostruzione post-terremoto di inizio febbraio 2023 potrebbe determinare un cambiamento demografico di Vakıflı, nel distretto di Samandağ, provincia di Hatay. 

Il villaggio è incluso in un piano di sviluppo su larga scala promosso dall’Amministrazione per lo sviluppo abitativo (TOKİ) come parte dei progetti di ricostruzione avviati dopo il devastante sisma che ha colpito in particolare l’Anatolia poco meno di due anni fa. Il progetto, che prevede la realizzazione di 1.353 unità abitative, riguarda parti di Vakıflı, tra cui aree residenziali, terreni agricoli e proprietà del Tesoro.

Sul sito web dell’ente viene specificato il piano e le opere a esso collegate fra cui case, attività commerciali fra cui un centro con 14 negozi, infrastrutture e opere paesaggistiche. I residenti di Vakıflı sono allarmati dalla prospettiva dell’esproprio, temendo che il progetto danneggi il tessuto storico, culturale e sociale del villaggio. Molti temono che l’area possa perdere il suo status unico di ultimo villaggio armeno della Turchia.

Al riguardo, un residente ha dichiarato confermato che in questi giorni i capi dei villaggi di Vakıfköy, Hıdırbey e Mağaracık “si incontreranno con il governatore. Come abitanti, ci opponiamo - dichiara - alla decisione di esproprio. Siamo un villaggio che esiste da secoli” prosegue, e “temiamo non solo per il nostro patrimonio culturale e storico, ma anche per la composizione demografica della nostra comunità. Quasi metà dell’area - afferma - è a rischio di esproprio e siamo profondamente preoccupati di perdere la nostra identità”.

Cautela viene espressa dal mukhtar (capo) del villaggio, Berç Kartun, secondo cui il “destino” della zona “sarà più chiaro dopo l’incontro con il governatore di Hatay Mustafa Masatlı”. Kartun ha poi osservato che gli abitanti del villaggio sono “in ansia e preoccupati” per il potenziale impatto del progetto. Dopo lo sfollamento forzato della maggior parte degli armeni dalla regione di Musa Dagh nel 1915, solo un piccolo numero è rimasto a Vakıflı e nei villaggi vicini come Hıdırbey, Yoğunoluk e Kapısuyu. Dopo l’annessione del Sanjak di İskenderun, l’odierno Hatay, da parte della Turchia nel 1939, la popolazione armena rimasta si è stanziata in gran parte a Vakıflı.

Secondo il giornalista di Agos İşhan Erdinç, la Fondazione della Chiesa armena di Vakıflı ha avviato un procedimento legale per reclamare 36 proprietà identificate come appartenenti alla propria comunità. Queste proprietà erano state trasferite nel tempo all’erario o a privati e, nonostante una sentenza della Corte Costituzionale turca del 2022, che ha riscontrato una violazione dei diritti legittimi, le proprietà contestate non sono state restituite alla fondazione.

Intanto, nell’ultimo periodo in Turchia si registra - pur passando in gran parte sotto silenzio, una ulteriore stretta delle autorità governative e della sicurezza verso politici dell’opposizione, giornalisti e intellettuali oggetto di inchieste, perquisizioni e arresti. Nel mirino anche il sindaco di Istanbul - fra le personalità più in vista del fronte opposto al presidente Recep Tayyip Erdogan - Ekrem İmamoğlu, convocato per interrogatorio e oggetto di almeno due diverse indagini. A suo carico vi sarebbe fra gli altri l’accusa di “minacce” verso “individui coinvolti negli sforzi antiterrorismo” oltre al tentativo di “influenzare la magistratura”. Inoltre sarebbero almeno 45 le persone, fra cui diversi personaggi pubblici, rinchiusi in cella o che sono oggetto di provvedimenti di custodia dal 17 gennaio scorso, coinvolti in diverse inchieste penali perlopiù collegate a reati di “terrorismo”. Infine, almeno nove giornalisti sono sotto inchiesta per scritti e post sui social media.

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