Uttar Pradesh, il bivio del 2022 per la politica indiana
Partita la campagna elettorale per le Assemblee legislative in 5 Stati indiani. Occhi puntati sull'Uttar Pradesh che con i suoi 200 milioni di abitanti è decisivo per gli equlibri nazionali. Con il monaco nazionalista indù Yogi Adityanath, capo del governo locale uscente e aspirante successore di Modi alla guida del Bjp, che soffia sul fuoco del risentimento contro i musulmani. Ma deve fare i conti con le defezioni nel suo partito.
Milano (AsiaNews) - Nonostante la nuova ondata di Covid-19 che anche in India ogni giorno sta facendo registrare livelli record di contagi, la Commissione elettorale ha confermato le elezioni per il rinnovo delle Assemblee legislative di cinque Stati della federazione: Uttar Pradesh, Punjab, Uttarakhand, Manipur e Goa. Tra il 10 febbraio e il 7 marzo, dunque, 183 milioni di elettori saranno chiamati al voto in diversi turni per quello che è il più importante appuntamento politico dell’anno in India e probabilmente un passaggio chiave verso le elezioni politiche generali, in calendario per il 2024.
In una democrazia con i numeri dell’India è sempre riduttivo considerare queste tornate come un appuntamento “locale”. Ma è un discorso che vale in maniera particolare per questo voto: quando il 10 marzo verranno resi noti i risultati, gli occhi di tutta l’India saranno infatti puntati sull’Uttar Pradesh, che con i suoi oltre 200 milioni di abitanti è di gran lunga il più popoloso tra gli Stati indiani. Per questo motivo è anche il più importante per gli equilibri politici nazionali: alle elezioni generali assegna ben 80 dei 543 seggi del Lok Sabha, la Camera bassa del parlamento indiano. Ed è il motivo per cui lo stesso premier Narendra Modi - nonostante abbia costruito la sua ascesa politica nel Gujarat - ha il suo seggio elettorale a Varanasi, la città sacra degli indù. Proprio lì, appena qualche settimana fa, ha inaugurato in grande stile un “corridoio sacro” che unisce il tempio Kashi Vishwanath al Gange. Un simbolo religioso riportato agli antichi fasti radendo al suolo interi edifici e distribuendo compensazioni a ben 400 famiglie.
Per il Bharatiya Janata Party (Bjp) - il partito nazionalista indù di Modi - il voto in Uttar Pradesh è dunque un banco di prova particolarmente significativo. Arriva a un anno dalla mancata conquista del West Bengal, che nel 2021 aveva dichiaratamente messo nel mirino. Ma, soprattutto, nel 2017 fu proprio con il ritorno dopo 15 anni di un nazionalista indù alla guida del governo locale di Lucknow che Modi si aprì la strada per la larga riconferma ottenuta nelle elezioni generali tenutesi nella primavera 2019.
Quella dell’Uttar Pradesh è inoltre una corsa importante anche per i rapporti interni al Bjp: questo voto è infatti la prova del nove per Yogi Adityanath, monaco indù 49enne che dal 2017 governa questo Stato indiano. Sono 37 anni, infatti, che a Lucknow un chief minister uscente non esce vincitore dalle elezioni. E se ci riuscisse questo religioso oltranzista che in passato aveva accusato il Bjp di essere troppo tiepido nell’affermare l’Hindutva e appena eletto ha dichiarato guerra ai macelli, diventerebbe il candidato numero uno per raccogliere un giorno l’eredità politica dell’ormai settantenne Modi.
A Lucknow Yogi Adityanath ha costruito la sua popolarità cavalcando il tema dell’ordine e della sicurezza e promettendo sviluppo alle classi svantaggiate. Ma in uno Stato dove il 20% della popolazione è formata da musulmani, ha fatto anche approvare dall’Assemblea locale la legge contro il cosiddetto “love jihad”, l’accusa che i nazionalisti indù rivolgono ai giovani musulmani di “ingannare” le ragazze indù costringendole poi a convertirsi all’islam per sposarsi. Il provvedimento, in vigore dall’anno scorso, prevede pene fino a 10 anni di carcere per chi “utilizza il matrimonio per costringere qualcuno a cambiare religione”. Una definizione facilmente strumentalizzabile, stigmatizzata a più riprese anche dal vescovo di Lucknow, mons. Gerald Mathias, perché “rende i matrimoni interreligiosi quasi impossibili”.
Quali possibilità ha Yogi Adityanath di vincere di nuovo? Anche in Uttar Pradesh il Bjp non sembra avere più la stessa forza del 2017: la pandemia - che pure a Lucknow la scorsa primavera ha fatto registrare l’orrendo spettacolo delle pire improvvisate nei parchi per bruciare i cadaveri - ha lasciato il segno. Insieme agli strascichi della lunga battaglia sulla riforma dei mercati agricoli, che ha visto alla fine il governo Modi cedere alle pressioni, ritirando i propri provvedimenti sull’onda delle proteste che hanno visto proprio gli agricoltori della parte Occidentale dell’Uttar Pradesh e quelli del Punjab (altro Stato chiamato al voto) marciare con i loro trattori alla volta di New Delhi.
I sondaggi danno ancora per vincente Yogi Adityanath, ma il suo vantaggio si è assottigliato. Anche perché nel Bjp cominciano a fioccare le defezioni: in queste ultime ore, con un atto non certo nuovo per la politica indiana, ben dieci parlamentari tra cui tre ministri del governo hanno lasciato il partito nazionalista indù per schierarsi con lo sfidante più accreditato che in Uttar Pradesh non è un esponente del partito del Congresso, ma il leader di una forza politica locale. Si chiama Akhilesh Yadav, è il presidente del Samajwadi Party e ha già guidato il governo di Lucknow dal 2012 al 2017. È l’espressione di un partito che ha come simbolo una bicicletta, si definisce socialdemocratico e ha la sua base principalmente nella casta agricola degli Yadav e nella minoranza musulmana.
Anche per questo il Bjp pare sempre più deciso a giocare fino in fondo in questa partita la sua carta identitaria: le ultime voci danno Yogi Adityanath intenzionato a presentarsi nel collegio di Ayodhya, il luogo simbolo per eccellenza del nazionalismo indù. Qui infatti nel 1992 venne distrutta la Babri Majidh, la moschea fatta costruire dalla dinastia Moghul nel XVI secolo là dove secondo la tradizione indù sarebbe nato il dio Rama. Un gesto che provocò scontri tra musulmani e indù in tutta l’India con oltre 2mila morti e una lunga battaglia legale chiusa solo nel 2019 dalla Corte Suprema indiana con il riconoscimento dell’appartenenza del sito agli indù, ma anche con la condanna della distruzione della moschea e la concessione ai musulmani del diritto di costruire un altro luogo di culto in un terreno vicino.
“Si tratta di una battaglia tra gli 80 (la percentuale degli indù in Uttar Pradesh ndr) e i 20 (i musulmani)”, è uno degli slogan che il capo del governo uscente sta utilizzando in questa campagna elettorale a Lucknow. Icona di un Bjp che per non perdere l’Uttar Pradesh non si fa scrupoli a soffiare con vigore sul fuoco pericoloso delle contrapposizioni religiose. Come sanno ormai fin troppo bene anche i cristiani indiani.
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