09/06/2018, 09.00
ISRAELE-PALESTINA
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Uri Avnery: Gaza, da 'seconda Singapore' a prigione a cielo aperto

di Uri Avnery

Lo statista israeliano condanna il suo Paese per la situazione nella Striscia. Il vuoto lasciato a Gaza con il ritiro voluto da Sharon. La nascita di Hamas, sostenuta al tempo dai servizi segreti israeliani che volevano danneggiare l’Olp. Il blocco rigido e il circolo vizioso della violenza. Ora, i palestinesi tentano la resistenza non-violenta, spiazzando l’esercito israeliano.  

Gerusalemme (AsiaNews) – Gaza, forte come la morte è l'amore. È il gioco di parole (in ebraico “aza” significa sia forte che Gaza) con cui lo statista israeliano Uri Avnery inizia il resoconto in cui riprende i fili della rovina di Gaza, da possibile “seconda Singapore” a prigione a cielo aperto. Avnery condanna Israele: Ariel Sharon ritira le truppe e le colonie dalla Striscia senza consegnarla a “nessuno”. “Ma la natura odia i vuoti”, e quello di potere della Striscia è stato riempito dagli islamisti di Hamas. Gruppo che l'intelligence israeliana sostiene contro l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Da qui, ha inizio il blocco ferreo sulla Striscia e l’inizio del “circolo vizioso” delle violenze. E ora, arriva la resistenza non-violenta dei palestinesi.

Ieri, in cinque postazioni lungo il confine con Israele, circa 10mila persone hanno partecipato alla “Marcia del milione per Gerusalemme”: l’ennesima protesta della “Marcia per il ritorno”, serie di manifestazioni con le quali i palestinesi rivendicano il diritto di tornare alle terre ancestrali. Ancora una volta, l’esercito israeliano ha reagito con violenza, uccidendo quattro persone e ferendone più di 600, 117 delle quali con ferite da arma da fuoco.

Oh, Gaza. Forte come la morte è l'amore.

Ho amato Gaza. È un gioco di parole. Il Cantico dei cantici della Bibbia ci dice che l’amore è forte quanto la morte. Forte in ebraico è “aza”. “Aza” in ebraico è anche il nome di Gaza.

Ho vissuto molte ore felici a Gaza. Avevo molti amici lì. Dal dott. Haidar Abd al-Shafi, di sinistra, a Mahmoud al-Zahar, islamista ora ministro degli Esteri di Hamas.

Ero lì quando Yasser Arafat, il figlio di una famiglia gazawa, è tornato a casa. Mi hanno messo in prima fila al ricevimento al confine di Rafah, e quella sera egli mi ha ricevuto presso l’hotel lungo la spiaggia di Gaza, sedendosi accanto a me su un palco durante una conferenza stampa.

Ci siamo incontrati in modo amichevole ovunque nella Striscia di Gaza, nei campi profughi e per le vie di Gaza City. Ovunque, abbiamo parlato di pace e del posto di Gaza nel futuro Stato della Palestina.

Bene, ma e allora Hamas, la terribile organizzazione arci-terrorista?

All’inizio degli anni ’90, il primi ministro Yitzhak Rabin ha esiliato 415 prominenti islamisti da Gaza al Libano. I libanesi non li hanno lasciati entrare, e gli esuli hanno vegetato per un anno all’aperto, al confine.

Abbiamo protestato contro l’espulsione e piantato delle tende di fronte all’ufficio del primo ministro a Gerusalemme. Siamo rimasti lì per 45 giorni e notti, inclusi alcuni giorni di neve. Nel campo eravamo ebrei e arabi, inclusi alcuni islamisti arabo-israeliani. Abbiamo passato delle lunghe giornate e notti discutendo di politica. Riguardo cosa? Riguardo la pace, è ovvio.

Gli islamisti erano persone gentili e hanno trattato mia moglie, Rachel, con la massima civiltà.

Quando gli esuli hanno infine avuto il permesso di tornare a casa, un ricevimento è stato organizzato per loro nella più grande sala di Gaza. Sono stato invitato, insieme a un Gruppo di compagni. Mi hanno chiesto di parlare (in ebraico, naturalmente) e sono stato poi ospitato a un banchetto.

Riporto tutto questo per descrivere l’atmosfera del tempo. In ogni cosa che dicevo, io ribadivo di essere un patriota israeliano. Sostenevo la pace fra due Stati. Prima della prima Intifada (iniziata il 9 dicembre 1987) Gaza non era un luogo di oscuro odio. Al contrario.

Masse di lavoratori attraversavano i checkpoint ogni mattina per andare a lavorare in Israele, e altrettanti mercanti vendevano i loro prodotti in Israele, o attraversavano Israele per arrivare in Giordania, o ricevevano la loro merce in porti israeliani.

Quindi come siamo riusciti – noi, lo Stato di Israele – a trasformare Gaza in quella che è oggi?

Nell’estate del 2005, l’allora primo ministro Ariel Sharon decideva di tagliare tutti i legami con la Striscia di Gaza.”Arik”, soldato nel cuore, aveva decretato che il costo dell’occupazione della Striscia era più alto dei benefici. Egli ritirava l’esercito e i coloni e consegnava la Striscia – a chi? A nessuno.

Perché nessuno? Perché non all’Olp che era l’autorità palestinese già riconosciuta? Perché non nel contesto di un accordo? Perché Arik odiava i palestinesi, l’Olp e Arafat. Non voleva avere niente a che fare con loro. Per questo ha lasciato la Stricia e basta.

Ma la natura odia i vuoti. Un’autorità palestinese si è creata a Gaza. Le elezioni democratiche si sono tenute e Hamas ha vinto in tutta la Palestina. Hamas è un partito religioso-nazionalista che in origine è stato sostenuto dai servizi segreti israeliani (Shin Bet) per danneggiare l’Olp. Quando l’Olp non ha accettato i risultati elettorali, Hamas ha preso il potere a Gaza con la forza. E così si è andata a creare la situazione attuale.

Durante tutto questo tempo avevamo ancora un’opzione positiva.

La Striscia di Gaza poteva diventare una fiorente isola. Gli ottimisti parlavano di una “seconda Singapore”. Parlavano di un porto di Gaza, con la dovuta ispezione dei beni in entrata a Gaza o in un porto neutrale all’estero. Un aeroporto di Gaza, con l’appropriata ispezione di sicurezza, è stato costruito, usato e poi distrutto da Israele.

E cosa ha fatto il governo israeliano? L’esatto opposto, ovviamente.

Il governo ha sottoposto la striscia di Gaza a blocco stringente. Tutte le connessioni fra la Striscia e il mondo esterno sono state tagliate. I fornimenti potevano arrivare solo attraverso Israele. Israele aumentava o riduceva gli importi di beni essenziali a proprio capriccio. La questione della nave turca Mavi Marmara, assaltata in modo sanguinoso vicino alla costa di Gaza, ha enfatizzato il totale isolamento.

Ora, la popolazione di Gaza ha raggiunto i due milioni. Molti di loro sono profughi provenienti da Israele, che erano stati cacciati durante la guerra del 1948. Non posso dire di essere innocente – la mia unità dell’esercito combatté nel sud della Palestina. L’ho visto accadere. Ne ho scritto.

Il blocco ha creato un circolo vizioso. Hamas e le organizzazioni più piccole (e più estreme) hanno portato avanti atti di resistenza (o “terrore”). Come reazione, il governo israeliano ha intensificato il blocco. I gazawi hanno risposto con maggiore violenza. Il blocco è peggiorato. E così via, fino a questa settimana.

E per quanto riguarda il confine sud della Striscia? In modo piuttosto bizzarro, l’Egitto coopera con il blocco israeliano. E non solo per la mutua simpatia fra il dittatore militare egiziano Abd al-Fatah al-Sisi e i dirigenti israeliani. C’è anche una ragione politica: il regime di Sisi odia i Fratelli musulmani, la sua opposizione bandita che considera l’organizzazione madre di Hamas.

Anche il regime dell’Olp in Cisgiordania coopera con il blocco israeliano contro Hamas, che è il suo principale avversario nella cornice politica palestinese.

Così la Striscia di Gaza rimane completamente isolata, senza amici. Eccetto alcuni idealisti intorno al mondo, che sono troppo deboli per fare la differenza. E, naturalmente, Hezbollah e l’Iran.

Ora, prevale un certo equilibrio. L’organizzazione gazawa conduce attacchi violenti, che non fanno reale danno allo Stato d’Israele. L’esercito israeliano non ha il desiderio di occupare di nuovo la Striscia. Poi, i palestinesi hanno scoperto una nuova arma: la resistenza non-violenta.

Molti anni fa, un attivista arabo-americano, pupillo di Martin Luther King, era andato in Palestina a predicare questo metodo. Non trovando acquirenti, ha fatto ritorno negli Stati Uniti. Poi, all’inizio della seconda intifada, i palestinesi tentano questo sistema. L’esercito israeliano reagisce con il fuoco vivo. Il mondo osserva una foto di un bambino colpito mentre era nelle braccia del padre. L’esercito nega di aver responsabilità, come sempre. La resistenza non-violenta muore con il bambino. L’intifada ha preteso molte vittime.

La verità è che l’esercito israeliano non ha una risposta per la resistenza non-violenta. In una simile campagna, tutte le carte sono in mano ai palestinesi. L’opinione pubblica mondiale condanna Israele e applaude i palestinesi. Quindi, la reazione dell’esercito è di aprire il fuoco, in modo da indurre i palestinesi a lanciare azioni violente. Con quelle, l’esercito sa come comportarsi.

La resistenza non-violenta è uno strumento molto difficile. Richiede un’enorme forza di volontà, severo autocontrollo e superiorità morale. Queste qualità si possono trovare nella cultura indiana, che ha dato i natali a Gandhi, e nella comunità americana nera di Martin Luther King. Non c’è una simile tradizione nel mondo musulmano.

Per questo è senza dubbio sorprendente che al confine di Gaza ora i manifestanti stiano trovando la forza nei loro cuori. Gli eventi del Lunedì Nero, il 14 maggio, hanno sorpreso il mondo. Masse di essere umani disarmati, uomini, donne e bambini, hanno sfidato con coraggio i cecchini israeliani. Non hanno portato armi. Non hanno “assaltato il recinto”, una bugia diffusa dall’apparato propagandistico israeliano. Sono stati fermi, esposti ai cecchini e sono stati uccisi.

L’esercito israeliano è convinto che gli abitanti di Gaza non supereranno la prova, che torneranno all’inutile violenza. Lo scorso martedì [29 maggio, ndr] è sembrato che questa affermazione fosse corretta. Una delle organizzazioni di Gaza ha condotto un “atto vendicativo”, lanciando più di un cento colpi di mortaio in Israele, senza causare reale danno. È stato un gesto inutile. Un atto violento non ha possibilità di ferire Israele. Fornisce solo munizioni alla propaganda israeliana.

Quando si pensa alla lotta non-violenta, bisognerebbe ricordare Amritsar. È il nome di una città indiana dove, nell’aprile del 1919, dei soldati sotto il comando britannico aprirono un fuoco omicida contro i manifestanti indiani non-violenti, uccidendone almeno 379 e ferendone circa 1200. Il nome del comandante, il connello Reginald Dyer, è entrato nella storia, per l’eterna vergogna. L’opinione pubblica britannica era scioccata. Molti storici credono che quello fu l’inizio della fine del controllo britannico in India.

Il “Lunedì Nero” al confine di Gaza ricorda uno di questi episodi.

Come finirà?

Hamas ha offerto una “Hudna” per 40 anni. Una Hudna è un armistizio sacro, che nessun musulmano ha il permesso di spezzare.

Ho già menzionato i crociati, che sono rimasti in Palestina per quasi 200 anni (più di noi, al momento). Essi concordarono o entrarono in diverse Hudna con gli Stati musulmani ostili che li circondavano. Gli arabi si attennero con rigore.

La domanda è: il governo israeliano è capace di accettare un Hudna? Dopo aver incitato le masse dei loro seguaci e averli riempiti di odio mortale contro il popolo di Gaza in generale e Hamas in particolare, oserebbe accettare?

Mentre gli abitanti della Striscia di Gaza sono strangolati, privi di medicine, privi di sufficiente cibo, privi di acqua pura, privi di elettricità, il nostro governo cadrà nella trappola dell’illusione e crederà che Hamas collasserà?

Non succederà, per certo. Come cantavamo nella nostra gioventù: “Nessun popolo si ritira dalle trincee della sua vita”.

Come gli ebrei stessi hanno dimostrato per secoli, non c’è limite a quello che un popolo può sopportare quando la sua stessa esistenza è in gioco.

Questo è quello che ci racconta la storia.

Il mio cuore è con il popolo di Gaza.

Voglio chiedere loro perdono, nel mio nome e nel nome di Israele, il mio Paese.

Sogno il giorno in cui tutto questo cambierà, il giorno in cui un governo più saggio accetterà una Hudna, aprirà il confine e permetterà al popolo di Gaza di tornare al mondo.

Anche ora, io amo Gaza, con l’amore che la Bibbia dice essere forte quanto la morte.

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