05/06/2023, 13.30
VATICANO-CINA
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Un filosofo politico cinese nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali

Tra i nuovi membri nominati dal papa il prof. Bai Tongdong, che insegna alla Fudan University di Shanghai e contrappone al modello "egalitarista" delle democrazie occidentali un pensiero politico di matrice confuciana. E proprio la comprensione del "modello cinese dalla sua prospettiva" sarà al centro a fine giugno del prossimo workshop dell'organismo vaticano.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Papa Francesco ha nominato per la prima volta un accademico cinese tra i membri ordinari della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, l’organismo consultivo voluto nel 1994 da Giovanni Paolo II per aiutare la Santa Sede nella riflessione su temi legati all’economia, alla sociologia, al diritto e alle scienze politiche. Tra i tre nuovi accademici annunciati oggi dal Vaticano figura infatti anche il prof. Bai Tongdong, 53 anni, docente della Facoltà di filosofia presso la Fudan University di Shanghai nonché alla New York University School of Law. Gli altri due nuovi membri saranno il sociologo statunitense Justin Farrell e la teologa australiana Tracey Anne Patrice Rowland

Oltre a rappresentare un ulteriore segnale dell’attenzione di papa Francesco verso la Cina, l’inserimento di questo giovane docente cinese nell’organismo oggi presieduto da sr. Helen Alford - che attualmente conta tra i suoi 35 membri economisti quali Mario Draghi, Jeffrey Sachs e Joseph Stiglitz o filosofi e giuristi come Rocco Buttiglione, Christoph Engel e l’indiana Niraja Gopal Jayal - è significativo anche per il profilo specifico degli studi portati avanti dal prof. Bai Tongdong. Nato a Pechino nel 1970, con alle spalle un dottorato in filosofia a Boston, il “maestro Bai” - come lo chiamano gli studenti in Cina - si occupa infatti di teorie politiche a partire dal pensiero confuciano e in questi anni è stato un interlocutore privilegiato nelle università occidentali per lo studio del modello cinese. La sua opera più famosa è un libro pubblicato nel 2019 dall’Università di Princeton sotto il titolo “Against Political Equality: The Confucian Case”. La tesi che argomenta - e che fa evidentemente discutere - è quella secondo cui l’egalitarismo che le democrazie liberali hanno proclamato a valore, talvolta entra in conflitto con il bene comune. Mentre la filosofia confuciana - con la sua sintesi tra unità e compassione - offrirebbe un approccio più universalmente applicabile alle società e alle stesse relazioni internazionali.

Appare evidente - dunque - l’intreccio tra questa nomina è il grande tema del rapporto tra libertà, autocrazie e bene comune che la proiezione su scala globale della Cina di Xi Jinping pone nella comunità internazionale. Non a caso già tra qualche settimana la Cina sarà al centro di un workshop sul tema “Dialogo tra le civiltà e beni comuni” che la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali terrà a Roma il 27 e 28 giugno. Obiettivo dichiarato dell’appuntamento è quello di comprendere Pechino “non attraverso la lente di fonti esterne ma dalla sua stessa prospettiva”, valutando “le caratteristiche sociali, culturali, politiche ed economiche della Cina contemporanee, l'impatto della sua politica globale e la sua conformità agli obblighi e alle norme internazionali”.

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