Ulan Bator: continuano le proteste per lo scandalo carbone
Il 90% delle migliaia di manifestanti è costituito da studenti delle scuole superiori. Aperte due inchieste sulle forniture del minerale alla Cina. Sotto indagine 15 funzionari. I media ufficiali tacciono sulle dimostrazioni e le reti social sono bloccate. Sospetti dietro i tumulti ci possa essere una lotta interna al partito di governo.
Mosca (AsiaNews) – Nella capitale della Mongolia Ulan Bator non si placano le proteste di piazza, che ormai da alcuni giorni portano masse di persone davanti ai palazzi del potere. Sfidano le rigide temperature invernali per chiedere l’incriminazione dei funzionari pubblici implicati nella corruzione e nella malversazione legata alle forniture di carbone.
Il 90% delle migliaia di manifestanti è costituito da studenti delle scuole superiori del Paese, come ha confermato il segretario del ministero della Giustizia P. Sajnzorig, ma anche da minorenni delle medie. I media ufficiali tacciono sulle proteste, e le reti social sono bloccate. I dimostranti hanno cercato di assaltare il palazzo del governo, bloccando le strade centrali della città e bruciando un abete di paglia, quindi si sono allontanati spontaneamente, raccogliendo perfino la spazzatura.
Un deputato, Togmidyn Doržkhand, ha dichiarato a una conferenza stampa che dal 2013 il Paese ha esportato in Cina oltre 6,4 milioni di tonnellate di carbone, senza essere registrati alla dogana mongola. Hanno viaggiato su camion con documenti di normali automobili con passeggeri.
Dopo le proteste le autorità hanno concesso la creazione di un gruppo di lavoro per il dialogo con i dimostranti. Come ha affermato il capo della segreteria del governo Dašzegviyna Amarbajasgalana, esponente del Partito del popolo mongolo, “attualmente 15 funzionari si trovano sotto inchiesta; ne è in corso un’altra interna sui rappresentanti dei ministeri e degli organi interessati”. Il Parlamento è riunito in sessione continua per valutare la situazione e le accuse, che vengono riproposte anche da alcuni deputati.
Non sono le prime proteste di massa in Mongolia negli ultimi tempi: già a gennaio del 2021 l’allora primo ministro Khurelsukh Ukhnaa aveva dato le dimissioni, in seguito allo scandalo di una partoriente trasportata dalla clinica ostetrica a una per malati di Covid-19 senza scarpe e vestiti contro il freddo. Solo qualche mese dopo il premier dimissionario è stato eletto però presidente.
Su Twitter si diffondono varie teorie complottiste, nelle quali si afferma che Ukhnaa sia il vero organizzatore delle proteste, alla vigilia del congresso del Partito popolare, di cui egli è il segretario generale, per aumentare la pressione sul governo del primo ministro Luvsannamsrai Oyun-Erdene, presidente del Comitato centrale della formazione politica.
Dietro le proteste ci sarebbe quindi una lotta di potere interna al partito erede del Partito rivoluzionario del popolo mongolo, la compagine socialista rimasta al potere dal 1921 al 1996, e anche nella fase successiva delle trasformazioni democratiche, con poche interruzioni.
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