Ucciso al Sahrawi, ma l'islamismo non finirà con i raid
Un attacco con un drone dell'esercito francese ha colpito a morte il capo del gruppo terrorista sanguinario Stato islamico nel Grande Sahara. Anche i contractor russi si affacciano nel Sahel. Ma il jihadismo è un'ideologia ben più forte delle singole persone ed è su questo terreno che va combattuto.
Parigi (AsiaNews) – “Un colpo al cuore per lo Stato islamico nel Grande Sahara e un grande successo nella lotta ai gruppi terroristici nel Sahel”. Con queste parole l'altra sera il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l'uccisione in un raid delle forze francesi di Adnan Abou Walid al Sahrawi, capo del gruppo terrorista Stato islamico nel Grande Sahara.
Occorre ricordare che Adnan Abou Walid al Sahrawi faceva inizialmente parte del Fronte Polisario sostenuto dallo Stato algerino, poi membro molto attivo del movimento jihadista Al-Qaida nel Maghreb islamico (AQMI). Dal maggio 2015 si era poi impegnato nell'organizzazione dello Stato islamico nel Grande Sahara, il gruppo jihadista più pericoloso del Sahel, formazione che non risparmia né civili né militari e che prospera in tre Paesi diversi - il Mali, il Niger e il Burkina Faso – senza riconoscere le frontiere “imposte dal colonizzatore”. Al Sahrawi non sarebbe sopravvissuto alle ferite riportate dopo un raid effettuato in Mali dall'esercito francese con un drone il 17 agosto.
Tra i tanti attacchi terroristici di cui lo Stato islamico del Grande Sahara si è reso responsabile anche quello dell'agosto 2020 costato la vita a sei operatori umanitari francesi, insieme alle loro guide e autisti nigeriani: una strage che Adnan Abou Walid al Sahrawi aveva guidato personalmente.
Al di là della sua uccisione restano molte le domande sul futuro della presenza dell'esercito francese nel Sahel, soprattutto dopo l'annuncio da parte di Macron di una diminuzione del contingente militare in questa regione dell'Africa e la fine dell'operazione antijihadista Barkhane a vantaggio di un dispiegamento selettivo, destinato specificamente ad operazioni mirate da effettuare insieme agli eserciti africani locali nell'ambito di una coalizione internazionale che associ potenze europee. La situazione potrebbe complicarsi ulteriormente se i contatti in corso tra i soldati maliani al potere e una società militare privata russa sfociassero in un accordo. Un'eventualità, questa, che inquieta l'Occidente e Parigi prima di tutti.
In un tweet in cui ha reso omaggio alle vittime francesi morte nella lotta al terrorismo, Macron ha scrito: “La nazione pensa questa sera a tutti i suoi eroi morti per la Francia nel Sahel nelle operazioni Serval e Barkhane, alle famiglie in lutto, ai feriti. Il loro sacrificio non è stato vano. Con i nostri partner africani, europei e americani, continueremo questa battaglia”.
L'impegno militare della Francia nella guerra al terrorismo islamico è innegabile, ma anche se la neutralizzazione di terroristi pericolosi e sanguinari è un risultato, la vera lotta rimane ideologica. La storia del terrorismo islamico ci ha dimostrato che i leader non sono più importanti dell'ideologia fondante. In altre parole, non dobbiamo cadere nella trappola di credere che il terrorismo islamico cesserà di spiarci, di minacciarci, di minacciare la pace e la stabilità dei popoli in Oriente, in Africa, in Asia e in Occidente.
L'islamismo - con tutte le molteplici denominazioni che può avere - non dipende da nessuna persona fisica precisa. I leader di questo movimento non sono così importanti di fronte all'ideologia, perché essi stessi sono solo fedeli a idee egemoniche e totalitarie, un nazismo contemporaneo. Tuttavia, sono spesso potenti e arrivano a sedurre gli “islamisti moderati”. Scrivo questa espressione tra virgolette, perché non faccio distinzione tra i due islamismi: entrambi militano in un modo o nell'altro per la reintegrazione del califfato - soprattutto dopo la rivoluzione iraniana che ha mostrato come esista la possibilità di fondare Stati puramente islamici basati sulle “leggi islamiche”.
26/11/2019 12:36
03/11/2017 14:46