Uccisione Mahsa: attivisti cristiani e ong chiedono inchiesta sulle violenze di Teheran
In una lettera al Consiglio Onu per i diritti umani 42 associazioni invocano una inchiesta “urgente” e l’istituzione di un “meccanismo indipendente” per garantire giustizia contro le repressioni. Ancora una vittima minorenne: Asra Panahi, 16 anni, massacrata per non aver cantato a scuola l’inno pro-Khamenei. Incerta la sorte della scalatrice Elnaz Rekabi, rientrata in patria.
Teheran (AsiaNews) - Attivisti cristiani iraniani della diaspora, assieme a decine di ong internazionali pro-diritti umani, lanciano un appello al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc) per una “indagine urgente” sulla violenta repressione delle proteste per l’uccisione di Mahsa Amini. All’organismo Onu, spiegano i firmatari del documento, spetta il compito di “istituire” un “meccanismo indipendente” con compiti di “indagine, rendicontazione e attribuzione” delle responsabilità per le morti di queste settimane. L’ultima vittima eccellente è cronaca di questi giorni: una ragazzina di soli 16 anni, uccisa dalle Forze di sicurezza per essersi rifiutata di cantare un inno dedicato alla guida suprema Ali Khamenei.
“Senza un’azione collettiva concertata della comunità internazionale - sottolinea l’appello - che vada oltre le dichiarazioni di condanna e gli appelli rivolti alle autorità iraniane a condurre indagini. Innumerevoli altri uomini, donne e bambini rischiano di essere uccisi, mutilati, torturati, aggrediti sessualmente e gettati dietro le sbarre. E le prove di gravi crimini rischiano di scomparire”. A conferma dei timori, i firmatari ricordano che in sole quattro settimane la violenta repressione attuata da Teheran ha causato la morte di quasi 250 persone, almeno 23 delle quali minorenni.
I vertici della Repubblica islamica hanno più volte ignorato le richieste di alti funzionari delle Nazioni Unite di cessare l’uso della forza verso i manifestanti. “A livello locale - proseguono le associazioni - tutte le strade che portano a una verifica delle responsabilità sono bloccate” ed è impossibile ottenere giustizia in modo indipendente. Ecco perché, conclude l’appello delle 42 ong, è “necessaria” una “azione decisa” della comunità internazionale attesa “da ormai troppo tempo”.
A fine settembre attivisti cristiani iraniani si erano mobilitati chiedendo “verità e giustizia” per Mahsa Amini e condannando la “sistematica oppressione” delle donne, una componente attiva della società, ma spesso oggetto di abusi, violenze ed emarginazione. All’appello sottoscritto oggi da Article18, hanno aderito fra gli altri: Abdorrahman Boroumand Center for Human Rights in Iran; Amnesty International; Association for Women’s Rights in Development (Awid); Balochistan Human Rights Group (Bhrg); Cairo Institute for Human Rights Studies; Center for Human Rights in Iran; Ensemble Contre la Peine de Mort; Gulf Center for Human Rights; Human Rights Watch; Kurdistan Human Rights Network; World Organisation against Torture (OMCT).
Intanto giungono nuove storie di sangue, come emerge dalla denuncia del Consiglio di coordinamento del sindacato degli insegnanti iraniani relativa alla morte di una giovane di 16 anni per mano della polizia in una scuola di Ardabil, nel nord-ovest. Asra Panahi nei giorni scorsi avrebbe partecipato alle manifestazioni di protesta, rifiutandosi poi con altre compagne di classe di cantare l’inno per la guida suprema. In risposta, le Forze di sicurezza l’hanno picchiata in modo selvaggio, fino a causarne la morte sebbene alcuni familiari - forse nel timore di ulteriori persecuzioni - attribuiscano il decesso a un “problema cardiaco”.
In queste ore è rientrata a Teheran, assieme al resto della squadra nazionale, la scalatrice Elnaz Rekabi, salita alla ribalta delle cronache per aver gareggiato ai Giochi asiatici senza il velo, obbligatorio per le atlete quando rappresentano la Repubblica islamica nelle competizioni internazionali. Accolta da una folla, la sportiva di cui si erano perse le tracce per alcuni giorni - amici e familiari non riuscivano a contattarla - ha ripetuto quanto scritto sui social poche ore prima: non aver indossato l’hijab: “Non è stato un gesto intenzionale, ma una svista dovuta alla fretta” per una comunicazione ritardata dell’orario di gara e, seppure “sotto stress” ribadisce di essere “serena”.
All’uscita dall’aeroporto della capitale, Rekabi è stata fatta salire su un furgone, che ha attraversato lentamente la folla che la acclamava. Ma da quel momento non si hanno più notizie e anche il fratello Davood sembra scomparso nel nulla dopo una convocazione dell’intelligence. Il timore è che entrambi si trovino già nel famigerato carcere di Evin, dove vengono rinchiusi i detenuti politici e gli attivisti.