09/10/2023, 11.54
ASIA-MEDIO ORIENTE
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Uccisi e rapiti in una guerra non loro: decine di thailandesi e nepalesi tra le vittime di Hamas

di Steve Suwannarat

Nessuna pietà da parte dei miliziani palestinesi davanti ai tanti migranti asiatici che lavorano come agricoltori nei kibbutz vicino a Gaza. Alcuni sono anche tra gli ostaggi portati nella Striscia. Preoccupazione nelle comunità indiane e filippine in Israele. Vive tuttora nella Repubblica popolare cinese la madre di Noa Argamani, la ragazza rapita al rave party nel deserto il cui video è divenuto immediatamente virale.

Tel Aviv (AsiaNews/Agenzie) – Vittime di un conflitto che non è il loro. Ci sono anche tante famiglie asiatiche tra quelle che piangono i morti dell’incursione di Hamas nei kibbutz intorno a Gaza o in ansia per il rapimento di propri cari. E non è un caso: gli insediamenti agricoli del sud di Israele sono una delle aree dove maggiormente si concentra il lavoro dei migranti giunti dall’Estremo Oriente. Miganti di cui spesso abbiamo parlato per le dure condizioni di lavoro imposte da una legislazione tra le più restrittive al mondo: hanno permessi di soggiorno strettamente legati a contratti di lavoro temporanei, senza alcuna possibilità di accedere alla citadinanza israeliana. Eppure anche loro sono stati trattati come “collaborazionisti”, senza alcuna pietà da parte dei commando palestinesi.

Due i morti finora accertati dal ministero degli Esteri di Bangkok, come comunicato dal vice-ministro Jakkaphong Sangmanee, ma secondo diverse fonti tra cui i datori di lavoro israeliani sarebbero una dozzina quelli complessivi, a cui andrebbero aggiunti otto feriti di cui due gravi e 11 rapiti dai miliziani di cui di tre sono state diffuse le generalità.

Il governo thailandese ha annunciato di avere messo a disposizione un aereo dell’aviazione militare per l’eventuale l’avvio di un ponte aereo per riportare in patria i propri cittadini che lavorano nella zona di conflitto a ridosso della Striscia di Gaza nelle aree di Ashkelon, Netivot e Sderot. In totale, si calcola che nell’area vivessero ben 5.000 dei quasi 30mila lavoratori originari della Thailandia impiegati in Israele.

Il ministero del Lavoro ha finora segnalato l’impossibilità di stabilire dove si trovino i thailandesi sequestrati, mentre il primo ministro thailandese, Srettha Thavisin in viaggio per un tour di diversi Paesi asiatici, ha incaricato il suo vice di seguire la situazione. L’ambasciatrice israeliana a Bangkok, Orna Sagiv, ha chiesto la solidarietà dei thailandesi e di “unirsi nella preghiera con noi per le anime di chi ha perso tragicamente la vita e per una rapida conclusione della violenza”.
Molto alto anche il numero di vittime provenienti dal Nepal: secondo le notizie diffuse dall’ambasciata nepalese a Tel Aviv sono ben dieci le vittime nepalesi, in gran parte braccianti agricoli che lavoravano nel kibbutz di Amunim, uno di quelli presi d’assalto sabato mattina dalle milizie palestinesi. Altri due nepalesi sono ricoverati in gravi condizioni, mentre altri che mancano all’appello potrebbero essere tra le persone rapite e portate dentro la Striscia di Gaza. In tutto sono circa 4.500 i cittadini nepalesi attualmente in Israele.
La vicenda è seguita con grande preoccupazione anche in India, altro Paese che conta un numero consistente di propri lavoratori emigrati nell’area interessata dalle incursioni di Hamas. Alla domanda di AsiaNews sulla sorte dei migranti cattolici indiani, fonti sul posto hanno risposto: “Non abbiamo notizie di migranti uccisi o presi in ostaggio, ma la situazione è molto tesa e c'è molta paura per quello che succederà... Pregate per la pace".

Altra comunità asiatica in forte apprensione è quella filippina che conta anch’essa circa 30mila lavoratori migranti in Israele, molti dei quali lavorano come badanti accanto ad anziani israeliani. In questo caso, però, sono pochi quelli che svolgevano la loro opera nelle città più vicine al confine con Gaza. Il sottosegretario per gli Affari esteri del governo di Manila, Eduardo de Vega, ha parlato di un "piccolo numero di filippini che non sono stati rintracciati nel Sud di Israele. Meno di 10, circa cinque o sei”.

Infine va segnalato che Noa Argamani - la giovane cittadina israeliana rapita durante il rave party nel deserto e il cui video è divenuto virale fin dalle prime ore dell’assalto - è nata in Cina: sua madre vive tuttora nella Repubblica popolare cinese. Questa circostanza è molto discussa in queste ore sui social network anche in Cina, accanto alle storie di cittadini cinesi bloccati nel Paese. “Chiediamo alle parti interessate di mantenere la calma, esercitare la moderazione e porre immediatamente fine alle ostilità per proteggere i civili ed evitare un ulteriore deterioramento della situazione - ha scritto ieri in una nota il ministero degli Esteri di Pechino -. Il ripetersi del conflitto dimostra ancora una volta che il prolungato blocco del processo di pace non può continuare. La via d'uscita fondamentale dal conflitto è l'attuazione della soluzione dei due Stati e la creazione di uno Stato palestinese indipendente”.

(ha collaborato Nirmala Carvalho)

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