Turchia, 45 studenti in carcere. Avevano manifestato contro Erdogan nel 2012
Il giudice ha inflitto a ciascuno dei giovani universitari dieci mesi di prigione. Quattro anni fa avevano partecipato a una protesta durante una visita dell’allora Primo Ministro alla Middle East Technical University. L’opposizione accusa: il carcere è la “risposta” del governo verso manifestanti e critici.
Istanbul (AsiaNews/Agenzie) - Un tribunale turco ha condannato a quattro anni di distanza 45 studenti, per aver partecipato a manifestazioni nel 2012 contro l’allora Primo Ministro (oggi presidente) Recep Tayyip Erdogan. I giovani universitari avevano aderito alle proteste, organizzate durante una visita dell’ex premier nel loro ateneo; questa mattina il giudice ha inferto a ciascuno di loro 10 mesi di carcere.
Secondo il tribunale della capitale i giovani sono colpevoli di aver infranto la legge, per aver ostacolato le funzioni politiche e istituzionali di Erdogan. Il riferimento è alla visita dell’allora Primo Ministro alla Middle East Technical University, per seguire in diretta tramite collegamento video la messa in orbita di un satellite spia turco, a bordo di un razzo cinese.
All’epoca i poliziotti erano intervenuti in massa per disperdere la protesta studentesca, usando gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. L’opposizione aveva criticato con forza l’azione operata dalle forze dell’ordine, giudicandola troppo energica e muscolosa per una dimostrazione minore e con un esiguo numero di partecipanti.
Aykan Erdemir, ex deputato del Partito Popolare Repubblicano (Chp), la principale formazione di opposizione, stigmatizza la decisione dei giudici: “È triste osservare che le condanne al carcere - ha dichiarato all’Afp il politico - sono la risposta usata sempre dal governo verso i manifestanti e i critici”.
Le condanne degli universitari giungono nel contesto di una serie di epurazioni, condanne e attacchi contro voci critiche, dissenso, oppositori, intellettuali, militari, dirigenti pubblici e semplici cittadini lanciato da Ankara in seguito al fallito golpe della notte fra il 15 e il 16 luglio. Una vicenda dai contorni ancora oscuri, che ha offerto ai vertici turchi - e allo stesso Erdogan - la possibilità di lanciare una campagna di pulizia che ha portato all’arresto di decine di migliaia di persone.
Nei giorni scorsi Ankara ha diffuso i dati aggiornati relativi alle “purghe”. Almeno 76mila persone sono state fermate e altre 16mila arrestate per presunti legami con il movimento di Gülen. In totale il numero delle persone sottoposte a interrogatorio ha superato quota 100mila. Migliaia le persone cacciate dal proprio posto di lavoro; di questi, la maggioranza erano dipendenti nel settore della pubblica istruzione. Inoltre, sono almeno 20mila i posti tuttora vacanti fra le fila dell’esercito in seguito all’arresto o all’uccisione di ufficiali e soldati implicati nel colpo di Stato.
Attivisti e organizzazioni pro diritti umani hanno accusato il governo turco di utilizzare il pretesto del terrorismo e del fallito golpe per colpire fra gli altri l’opposizione, la dissidenza e la minoranza curda. Ankara avrebbe anche utilizzato la violenza e la tortura contro sospetti, a carico dei quali non vi erano prove certe di coinvolgimento; a questo si aggiunge la detenzione di giovani in età scolare perché avrebbero intrecciato legami con il movimento del leader spirituale Fethullah Gülen.