Troppi interessi contrastanti allontanano la fine del conflitto in Medio Oriente
Beirut (AsiaNews) - Il conflitto che sta sconvolgendo il Medio Oriente si combatte non solo sul terreno militare, ma anche su quelli politico e diplomatico e la differenza di obiettivi dei protagonisti - al di là delle affermazioni di principio sulla pace e il dialogo - allontana la possibilità di una soluzione non cruenta. Lo confermano gli accadimenti di questi giorni, come il raid degli israeliani contro due obiettivi in Siria, l'annuncio americano dell'invio di altri 1.500 soldati in Iraq, la riunione del Consiglio di cooperazione del Golfo, l'incontro dei ministri degli Esteri di Iran, Iraq e Siria e la rivelazione degli osservatori dell'Onu dei "contatti" tra israeliani e ribelli siriani.
E c'è anche la richiesta avanzata dal primo ministro libanese Tammam Salam di "maggiori aiuti internazionali" per contrastare gli attacchi jihadisti contro il suo Paese. Aiuti militari, cioè armi per l'esercito libanese, ha specificato nel ringraziare la Francia che ha annunciato l'invio "nelle prossime settimane" di armamenti.
Il bombardamento da parte israeliana di due siti che secondo il Syrian Observatory for Human Rights erano depositi di armi, al di là della ovvia protesta di Damasco ha confermato la preoccupazione di Gerusalemme per la possibilità che Hezbollah si rinforzi. Nel rifiutare qualsiasi conferma o smentita della notizia, il ministro israeliano dell'Intelligence, Yuval Steinitz, ha infatti dichiarato: "Noi abbiamo una rigorosa linea politica di prevenire ogni possibile trasferimento di armi sofisticate a organizzazioni terroristiche". Secondo i media israeliani, nei depositi bombardati c'erano razzi anticarro e missili terra-aria, probabilmente iraniani e destinati a Hezbollah. Ma oltre a tale obiettivo, la tempistica dell'attacco è stata messa in relazione con la decisione del premier israeliano Benjamin Netanyahu di andare a elezioni anticipate. Anche se nessuno dei rivali politici dell'attuale capo del governo ha sollevato la questione, è un dato di fatto che Netanyahu ha interesse a sollevare in campagna elettorale le questioni legate alla sicurezza.
Praticamente in contemporanea con tali vicende, un rapporto degli osservatori dell'Onu sulle alture del Golan, presentato al Consiglio di sicurezza, ha rivelato che negli ultimi 18 mesi c'è stata "collaborazione" tra Israele e i ribelli siriani. Si sapeva che alcuni feriti siriani vengono curati in ospedali israeliani, ma l'affermazione degli osservatori dell'Onu sembra voler intendere anche altri ambiti.
Da parte sua il governo siriano, oltre ad accusare Israele di aiutare "i terroristi", da un lato continua a trattare con l'inviato dell'Onu Staffan de Mistura la possibilità di un cessate il fuoco ad Aleppo, dall'altra conferma il suo assenso al tentativo di Mosca di aprire un dialogo "tra siriani". L'ha ripetuto due giorni fa il ministro degli esteri Walid Moallem da Teheran, durante una conferenza stampa tenuta insieme con l'iraniano Mohammad Javad Zarif, anch'egli sostanzialmente favorevole all'iniziativa russa.
Ancora da Teheran, ieri il presidente del Parlamento, Ali Larijani, al termine di un incontro col ministro degli esteri iracheno Ibrahim al-Jaafari ha esortato gli iracheni a rafforzare la loro unità. Larijani ha aggiunto che l'Iran è pronto a offrire al parlamento di Baghdad la sua esperienza e ad aiutarlo a risolvere i problemi interni del Paese.
Sul fronte opposto di coloro che sono contro l'attuale regime siriano, si riuniscono oggi in Qatar i leader dei sei Paesi del Gulf Cooperation Council (GCC). Significativo è già il fatto che la riunione si tenga a Doha, dopo mesi di accuse di Arabia Saudita Emirati e Bahrein contro il Qatar per il suo supposto sostegno ai Fratelli musulmani. Obiettivo dell'incontro è la creazione di un comanda militare unificato e di una polizia regionale per contrastare i gruppi jihadisti e il "nemico" Iran.
Tale riunione avviene a breve distanza da quella del 2 e 3 dicembre che ha riunito i membri della coalizione contro lo Stato islamico e nella quale si è deciso l'invio di un contingente di 1.500 uomini in aiuto alle forze irachene. Non è stato detto di quale nazionalità saranno i militari.
Il semplice elenco di interventi, riunioni e dichiarazioni evidenzia come, oltre ai Paesi direttamente coinvolti, cioè Siria, Iraq e, per ora marginalmente il Libano, il conflitto vede l'interessata "attenzione" di Israele, Iran, Arabia Saudita, Paesi del Golfo, Stati Uniti, Russia e Francia. E gli obiettivi non sono certamente gli stessi.