Tre anni fa i progrom dell’Orissa. Il vescovo: “La gente non ha rinnegato Cristo”
di Nirmala Carvalho
L’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, Jonh Barwa, afferma che quegli eventi non furono “maledizione”. “Ci da' coraggio pensare che ora Kandhamal dà speranza alla Chiesa perseguitata in tutto il mondo. Dove c’è prova a persecuzione c’è anche luce”.
Cuttack-Bhubaneswar (Asia News) – Tre anni fa, il 23 agosto, in Kandhamal si scatenava la violenza contro I cristiani. Lo swami Laxamanananda Saraswati, di 85 anni, e quattro suoi seguaci sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco in un ashram in Orissa. Guruji, come era conosciuto, era un indù nazionalista fanatico. Uno dei suoi obiettivi era di cancellare i cristiani e il cristianesimo dal distretto di Kandhamal e dintorni, perché il numero dei cristiani era cresciuto negli ultimi 30 anni. E lo swami attribuiva questa crescita alla forza, e ai supposti “inganni” dei missionari cristiani. “Prima i cristiani tornano a essere induisti tanto meglio per il Paese” proclamava.
I cristiani sono stati accusati, innocenti, dell’assassinio. (11/05/2011 Pogrom in Orissa, la polizia scagiona i cristiani per la morte dello swami indù) . Subito si sono scatenate le violenze; non incidenti isolati o sporadici, ma tutti erano parte di una cospirazione bene orchestrata che aveva il pieno appoggio del governo dello Stato. L’inazione dello Stato per ciò che riguarda gli aiuti, la riabilitazione e la protezione delle vittime e l’indifferenza della polizia indicano che tutto ha avuto luogo con la tacita approvazione, o peggio, con la cooperazione attiva dei funzionari. Agenti di polizia erano presenti durante molti attacchi, ma neanche in una singola occasione la polizia ha lanciato una carica con i lathi (bastoni di bambù, n.d.r.) o ha aperto il fuoco per disperdere i manifestanti.
In occasione dell’anniversario dell’inizio dei pogrom, AsiaNews ha raccolto le parole dell’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, John Barwa. “Quest’anno non abbiamo molte cerimonie e raduni di preghiera. L’ammministrazione ha dato protezione di polizia a tutte le chiese, le istituzioni e i villaggi. Comunque non guardiamo a quegli eventi come a una ‘maledizione’. Percepiamo quei pogrom alla luce di una fede matura e di una crescita nella missione, e li accettiamo come parte di un piano divino. La Chiesa è sorta dal cuore trafitto di Cristo, e così le sofferenze sono parte della missione universale della Chiesa, e per la crescita della Chiesa. Non siamo scoraggiati”.
L’arcivescovo ha poi aggiunto: “Ci da' coraggio pensare che ora Kandhamal da' speranza alla Chiesa perseguitata in tutto il mondo. La nostra gente, così vulnerabile, è rimasta ferma nella fede anche di fronte alla morte, ha abbracciato la croce rifiutando a ogni costo di rinnegare Cristo. Dove c’è prova e persecuzione c’è anche la luce”.
A una domanda sulla giustizia, l’arcivescovo John Barwa ha risposto che questa è stata una tragedia anche personale, perché sua nipote, una suora, è stata violentata in un assalto della folla. “Giustizia deve essere fatta e bisogna far vedere che giustizia è fatta. Rendere giustizia alle vittime non è solo un imperativo morale, ma anche un obbligo legale, senza il quale è compromesso l’armonia di una riconciliazione religiosa praticabile. Nel caso di suor Meena (v. foto), giustizia deve essere fatta perché questo dimostrerà alla comunità globale che la giustizia viene resa a tutte le vittime di questo tipo di crimini, e anche alla dignità delle donne nella società indiana. La giustizia in questo caso non è solo per suor Meena, ma è per la donna indiana, e per l’equità e l’efficacia del sistema giudiziario nel nostro Paese, per i diritti e la dignità delle donne”.
E ha così concluso: “Oggi nel nostro Paese abbiamo donne alla guida di tre importanti Stati: Uttar Pradesh, Tamil Nadu e Delhi; la nostra speaker è una donna, il presidente del Congresso è una donna. La giustizia per suor Meena è giustizia per tutte le donne indiane in questi casi così odiosi”.
I cristiani sono stati accusati, innocenti, dell’assassinio. (11/05/2011 Pogrom in Orissa, la polizia scagiona i cristiani per la morte dello swami indù) . Subito si sono scatenate le violenze; non incidenti isolati o sporadici, ma tutti erano parte di una cospirazione bene orchestrata che aveva il pieno appoggio del governo dello Stato. L’inazione dello Stato per ciò che riguarda gli aiuti, la riabilitazione e la protezione delle vittime e l’indifferenza della polizia indicano che tutto ha avuto luogo con la tacita approvazione, o peggio, con la cooperazione attiva dei funzionari. Agenti di polizia erano presenti durante molti attacchi, ma neanche in una singola occasione la polizia ha lanciato una carica con i lathi (bastoni di bambù, n.d.r.) o ha aperto il fuoco per disperdere i manifestanti.
In occasione dell’anniversario dell’inizio dei pogrom, AsiaNews ha raccolto le parole dell’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, John Barwa. “Quest’anno non abbiamo molte cerimonie e raduni di preghiera. L’ammministrazione ha dato protezione di polizia a tutte le chiese, le istituzioni e i villaggi. Comunque non guardiamo a quegli eventi come a una ‘maledizione’. Percepiamo quei pogrom alla luce di una fede matura e di una crescita nella missione, e li accettiamo come parte di un piano divino. La Chiesa è sorta dal cuore trafitto di Cristo, e così le sofferenze sono parte della missione universale della Chiesa, e per la crescita della Chiesa. Non siamo scoraggiati”.
L’arcivescovo ha poi aggiunto: “Ci da' coraggio pensare che ora Kandhamal da' speranza alla Chiesa perseguitata in tutto il mondo. La nostra gente, così vulnerabile, è rimasta ferma nella fede anche di fronte alla morte, ha abbracciato la croce rifiutando a ogni costo di rinnegare Cristo. Dove c’è prova e persecuzione c’è anche la luce”.
A una domanda sulla giustizia, l’arcivescovo John Barwa ha risposto che questa è stata una tragedia anche personale, perché sua nipote, una suora, è stata violentata in un assalto della folla. “Giustizia deve essere fatta e bisogna far vedere che giustizia è fatta. Rendere giustizia alle vittime non è solo un imperativo morale, ma anche un obbligo legale, senza il quale è compromesso l’armonia di una riconciliazione religiosa praticabile. Nel caso di suor Meena (v. foto), giustizia deve essere fatta perché questo dimostrerà alla comunità globale che la giustizia viene resa a tutte le vittime di questo tipo di crimini, e anche alla dignità delle donne nella società indiana. La giustizia in questo caso non è solo per suor Meena, ma è per la donna indiana, e per l’equità e l’efficacia del sistema giudiziario nel nostro Paese, per i diritti e la dignità delle donne”.
E ha così concluso: “Oggi nel nostro Paese abbiamo donne alla guida di tre importanti Stati: Uttar Pradesh, Tamil Nadu e Delhi; la nostra speaker è una donna, il presidente del Congresso è una donna. La giustizia per suor Meena è giustizia per tutte le donne indiane in questi casi così odiosi”.
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