Tra inflazione e rivolte sociali, la Cina festeggia l’Anno del Coniglio
Nella notte fra il 2 e il 3 febbraio inizia il nuovo anno lunare, e gli scommettitori puntano su 12 mesi di stabilità rispetto alle turbolenze dell’anno della Tigre. Ma i prezzi al consumo galoppano, e per la prima volta la vita a Pechino costa di più di quella a Hong Kong.
Pechino (AsiaNews) - Questa notte la Cina festeggia il Capodanno lunare, e saluta l’anno della Tigre che lascia il posto al Coniglio: tuttavia inflazione, disastri naturali e rivolte sociali rendono le speranze per il nuovo ciclo molto fosche, mentre il governo spera che la natura “quieta” della lepre possa calmare il popolo dopo la vigorosa tigre. Occupando il quarto posto dello zodiaco cinese, il coniglio è collegato alla luna e simboleggia felicità e buona fortuna.
Come da tradizione, questa notte in Cina – e dovunque sia presente un’importante diaspora cinese – si celebrerà l’ingresso nel Nuovo anno con fuochi d’artificio, danze del drago e rituali tradizionali che per la maggior parte si celebrano in famiglia. Gli scommettitori puntano su 12 mesi più tranquilli rispetto ai precedenti, segnati da terremoti e inondazioni.
La Clsa, gruppo di investimento e brokeraggio, scrive nel suo ultimo “Indice del Feng Shui” che il Coniglio “avrà un’influenza positiva sui mercati finanziari. Noto per la calma e per la personalità, avrà un influsso certamente migliore rispetto all’errante e poco docile tigre, che ha avvelenato e rivoltato i mercati nell’ultimo anno”.
La previsione è già in parte smentita da una ricerca sul campo, condotta dal South China Morning Post, che ha dimostrato come l’onda inflattiva in Cina abbia reso Pechino più cara di Hong Kong. Si tratta di una rivoluzione copernicana: il Territorio (per decenni colonia britannica) ospita un’imponente Borsa finanziaria e si è sempre caratterizzato per uno stile occidentale del proprio tessuto sociale, con un conseguente livellamento dei prezzi verso l’alto.
Al contrario Pechino, patria e capitale della rivoluzione maoista, si è sempre vantata del proprio borsino merceologico, fra i più bassi dell’Asia. La crisi finanziaria, le speculazioni e la bolla immobiliare hanno cambiato le cose: oggi, i prezzi medi della capitale cinese sono più alti di quelli dell’ex colonia. William Wong viene da Hong Kong ma vive a Pechino da circa un anno per curare gli interessi della propria società; a parte il prezzo dei taxi, dice, “quasi tutto qui costa di più”.
Una ciotola di spaghetti di riso con manzo, che nel Territorio oscilla fra i 30 e i 35 dollari di Hong Kong, a Pechino si paga una somma pari a 41 dollari di HK. Ma non è l’unico esempio, anzi è uno dei tanti. D’altra parte, lo stesso governo centrale ammette il fenomeno: l’Ufficio nazionale cinese di statistica ha annunciato all’inizio del mese che la media dei prezzi al consumo per la Cina è aumentata nel 2010 del 3,3 %. Lo scopo di Pechino è quello di tenere l’inflazione sotto al 3 %.
Il governo sa che l’aumento dei prezzi può mettere a rischio la stabilità interna molto più delle ripetute e conclamate violazioni ai diritti umani compiute dai propri funzionari. La speranza è che i fuochi d’artificio e la calma atavica del Coniglio possano aggiustare la situazione, anche se sarebbe più opportuno colpire la corruzione endemica nel Paese e sviluppare un vero mercato interno, così da ridistribuire la ricchezza interna e scongiurare l’ipotesi di una sommossa popolare per l’alto prezzo delle merci e del cibo.
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