29/09/2024, 12.11
ECCLESIA IN ASIA
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Tommaso da Tolentino e la via francescana alla missione in Cina

di Gianni Criveller

Un convegno nella città natale del frate martirizzato in India nel 1321 mentre era in viaggio verso Pechino, ha ricordato il contributo all'evangelizzazione della corrente spiritualista francescana legata alla teologia di Gioacchino da Fiore. Padre Criveller: "Questi movimenti erano i più attenti alle aperture missionarie perché credevano che la storia è guidata da Dio, anticipando quanto il magistero e i teologi insegnano oggi".

Un convegno intitolato “Diplomatici del Vangelo” ha ricordato il 25 settembre nella sua terra natale di Tolentino - nella regione italiana delle Marche - la figura del francescano Tommaso da Tolentino, missionario inviato in Cina da Clemente V e morto martire in India nel 1321. Una figura che anche il gesuita Matteo Ricci, suo conterraneo, aveva ben presente quando (più di due secoli dopo) partì per la Cina. Sull’importanza di Tommaso da Tolentino e delle missioni dei francescani in Cina nel XIII e nel XIV secolo ha parlato al convegno il direttore editoriale di AsiaNews, padre Gianni Criveller. Pubblichiamo qui sotto ampi stralci del suo intervento.

 

I primi cristiani giunti in territorio cinese nel VII secolo (635) lungo le vie della seta furono cristiani siro-orientali provenienti dalla metropoli cristiana di Seleucia-Ctesofonte (vicino all’attuale Baghdad), guidati da un monaco-vescovo conosciuto con il nome cinese di Alopen. È la missione illustrata eloquentemente dalla nota stele di Xi’an, dove il cristianesimo è definito come Insegnamento della Luce.  

Le vie della seta si ripopolarono di missionari a partire dalla seconda metà del Duecento: furono francescani con il doppio mandato di evangelizzatori e diplomatici. Il 24 luglio 1246 i frati Giovanni da Pian del Carpine (1182-1252) e Benedetto di Polonia giunsero alla corte del Khan mongolo Güyük, nella città di Karakorum, portatori di una missiva da parte di papa Innocenzo IV.

Nel corso del Concilio di Lione (1245) il papa aveva messo in agenda un remedium contra Tartaros, ovvero inviare emissari per tentare di fermare la minacciosa espansione dei Mongoli verso l’Europa. La lettera di Innocenzo IV conteneva l’invito al Khan di convertirsi al cristianesimo e l’interruzione dell’avanzata verso ovest della conquista di territori cristiani. Per tutta risposta il khan chiese al papa e a tutti gli altri governanti di sottomettersi a lui.

Pochi anni dopo l’iniziativa di Innocenzo, il re di Francia San Luigi inviò il frate belga William (Guglielmo) de Rubrück (1252-1253), accompagnato da fra Bartolomeo da Cremona, per una missione avente lo stesso scopo. Nell’inverno del 1253 i due frati raggiunsero la corte di Kublai Khan. Bartolomeo rimase a Kambaliq (l’odierna Pechino) e qui, nel 1265, Marco Polo si vedrà consegnare dal Kublai Khan una lettera per chiedere al papa sei “uomini savi”. Marco Polo - i cui viaggi sono collocati tra il 1271 e il 1291 - consegnerà il messaggio al cardinale Visconti, il futuro Gregorio X. Nel 1279 i Mongoli avevano intanto fondato la dinastia Yuan 元, stabilendo a Khanbaliq la capitale dell’impero contiguo più vasto della storia dell’umanità.

La terza missione francescana in Cina fu guidata da fra Giovanni da Montecorvino (1247-1328), frate appartenente alla corrente spirituale. Montecorvino iniziò la sua missione in Oriente nel 1279: prima come inviato diplomatico in Armenia, dal cui sovrano riceve una lettera per Niccolò IV, primo papa francescano. Dopo aver consegnato la lettera al papa, nel 1289 Giovanni da Montecorvino partì per la Cina. Arrivò a Khanbaliq nel 1293. Due sue lettere sono giunte a noi: scrive di aver costruito delle chiese (la prima di Pechino nel 1299), di aver battezzato numerose persone e di aver tradotto i Salmi e il Nuovo Testamento in lingua mongola. Montecorvino imparò la lingua mongola e fu in contatto con la popolazione di etnia mongola e provenienti dall’Asia centrale.

Nell’estate del 1307 le due lettere-relazioni furono consegnate al papa Clemente V da fra Tommaso da Tolentino (1245circa - 1321). Anche Tommaso aveva militato - con convinzione e pagando anche con il carcere - nel partito dei francescani spirituali, seguendo come molti riformatori e pauperisti del tempo, le dottrine di Gioacchino da Fiore (1130-1202). Nel 1294 Tommaso aderì ai pauperes eremitae domini Celestini, ovvero il gruppo di Celestino V, smantellato dopo l’abdicazione e la salita al trono pontificio dell’avversario di Celestino, ovvero Benedetto Caetani, con il nome di Bonifacio VIII.

Le Marche erano pervase da forti sentimenti spiritualisti: Tommaso ebbe come compagni di ventura e sventura frati originari di queste contrade: Angelo Clareno (o da Cingoli), Pietro da Macerata, Angelo da Tolentino e Marco da Montelupone. Con loro condivise non solo il carcere ma anche, nel 1290, la missione. Furono inviati in Cilicia, ovvero nel regno dell’Armenia della Turchia meridionale.

I passaggi della vicenda degli spirituali sono, come risaputo, molto complessi: perseguitati da Bonifacio VIII e in disaccordo con i conventuali, si divisero a loro volta tra i più intransigenti (tra loro Angelo Clareno, compagno di carcere e di missione di Tommaso) e quelli disponibili a qualche mediazione con le autorità della chiesa, tra i quali Tommaso da Tolentino.

Il primo contatto tra Tommaso e la missione di Cina risale - appunto - al giugno-luglio del 1307, quando il frate di Tolentino consegnò a Clemente V, un papa avignonese che si trovava in quel momento nella regione della Guascogna, le ultime due lettere del confratello missionario a Pechino Giovanni da Montecorvino: fu a seguito di esse che il papa inviò sette nuovi vescovi francescani in Oriente per consacrare Giovanni. Secondo alcuni, tra loro avrebbe potuto esserci lo stesso Tommaso, ma è una ipotesi poco credibile.
Solo tre frati-vescovi, Gerardo Albuini, Pellegrino da Città di Castello e Andrea da Perugia, giunsero a Pechino nel 1309 per l’ordinazione. Nel 1313 fu stabilita anche la diocesi di Zaiton (Quanzhou, l’odierna Xiamen, nel Fujian) di cui furono vescovi, in successione, tutti e tre i frati.

Sappiamo invece che nel 1320 fra Tommaso da Tolentino si trovava nell’isola di Hormuz (nel Golfo Persico) dove era giunto da Tabriz, in Persia, insieme ai confratelli Giacomo da Padova, Pietro da Siena, Demetrio da Tbilisi e al domenicano Jourdain Catalani de Sévérac. Erano diretti alla Cina, e imbarcatosi per l’India meridionale, Tommaso con i compagni fu condotto a Thane, sulla costa centro-occidentale dell’India, dove con i confratelli francescani fu convocato dalle autorità ad illustrare la propria fede, atto che includeva, nella mente di Tommaso e compagni, la condanna di Maometto e dunque la prospettiva del martirio.

I frati furono infatti arrestati, torturati, e condannati al rogo. Essendo ormai ottantenne, Tommaso venne in realtà risparmiato, e al rogo fu consegnato il più giovane, frate Giacomo. Il 9 aprile 1321, tuttavia, l’autorità giudiziaria della città fece catturare e uccidere Tommaso e i confratelli superstiti. Una relazione sul martirio fu scritta da frati contemporanei di Tommaso e in seguito da Odorico da Pordenone, anche lui in Cina dal 1320 al 1330 (e a Pechino dal 1325 al 1328), straordinario viaggiatore, esploratore ed osservatore dei costumi, dell’organizzazione familiare, sociale e militare dell’impero cinese.

Tommaso fu seppellito insieme ai confratelli dal domenicano Jourdain. Le reliquie furono traslate nel 1326 da Oderico da Pordenone in uno dei due conventi francescani di Quanzhou (oggi Xiamen) in Cina. La testa di Tommaso, in circostanze non note, fu poi trasferita a Tolentino. Fu beatificato da papa Leone XIII nel 1894.

La vicenda di Tommaso riflette bene l’idea della missione come azione della Trinità nella storia, propria di Gioacchino da Fiore, il primo teologo narrativo. Nella sua visione i tre stati della storia dell’umanità corrispondono all’età del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Essi narrano la relazione di Dio con l’umanità: il primo stato è trascorso nella schiavitù, il secondo è caratterizzato dalla figliolanza, il terzo si svolgerà all’insegna della libertà. Il primo è segnato dal timore, il secondo dalla fede, il terzo dall’amore. Il primo è il tempo dei vecchi, il secondo dei giovani, il terzo dei fanciulli. Il primo periodo è quello degli schiavi, il secondo è quello dei figli, il terzo è quello degli amici. Gioacchino da Fiore sembra riecheggiare le parole di Gesù stesso: «Non vi chiamo più servi, ma amici».

I movimenti spirituali medioevali, a cui Tommaso di Tolentino aderisce, erano i più attenti alle aperture missionarie perché credevano che la storia è guidata da Dio. La Santa Trinità è soggetto, protagonista della storia. Essi avevano anticipato quello che il magistero e i teologi insegnano oggi: la storia e la missione sono opera della Trinità. Le grandi missioni francescane nel medioevo e nel primo periodo moderno, tra gli arabi, in Terra Santa, in Asia e poi (dopo l’espansione geografica) anche nelle Americhe, erano influenzate da una grande aspirazione di rinnovamento evangelico.

Ne sono testimonianza anche le raccomandazioni di Francesco ai missionari tra i musulmani, contenute nel capitolo 16 della Regola non bollata del 1221: “I frati che vanno tra gli infedeli, e in specie tra i saraceni, possono vivere e comportarsi con loro, spiritualmente, in due modi. Un modo è che non suscitino liti o controversie, ma siano soggetti, per amore di Dio, a ogni umana creatura, e confessino di essere cristiani. Un altro modo è che, quando vedessero che piace al Signore, annuncino la parola di Dio e credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo...”.

Le profezie visionarie di Gioacchino, l’entusiasmo di Francesco d’Assisi che mostrava che era possibile vivere il vangelo alla lettera e senza commento, le attese suscitate dal papato di Celestino V furono le fonti del movimento degli spirituali e di altri movimenti alternativi alla chiesa istituzionale, percepita da tanti come non più corrispondente alla forma apostolica.

Sul fronte missionario questa visione aveva per protagonista Dio, o meglio la Santa Trinità, autrice della missione. I credenti, i missionari partecipano in modo simbolico ad una missione pienamente realizzata dalla Trinità. Alcuni avvenimenti avrebbero testimoniato che la missione si stava compiendo: Gerusalemme riconquistata; il raggiungimento degli estremi confini della terra; la riforma evangelica della chiesa che viveva l’opportunità di tornare alla genuinità evangelica, alla forma apostolica delle origini, al primato dello Spirito, abbandonando le forme del potere e della ricchezza.

Raggiungendo i confini della terra il disegno utopico sembrava compiersi. La cristianità autentica non sarebbe stata quella della chiesa del potere temporale, ma la chiesa rinnovata dell’età dello Spirito. Presso gli estremi confini, finalmente raggiunti, poteva rinascere la nuova chiesa secondo la forma apostolica. Dove l’attività principale della missione - secondo questa visione spirituale e utopica - non era la conversione dei singoli pagani destinati altrimenti alla dannazione eterna, ma quella di collaborazione in forma simbolico-spirituale, alla realizzazione del piano di Dio per l’umanità.

 

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