Terremoto: il pianto dell'Indonesia
Il racconto di un sacerdote in visita alle zone colpite dal sisma nei tre giorni successivi la tragedia: i danni alla comunità cattolica a Java, la disperazione dei sopravvissuti; mendicanti ai margini della strada; bambini piangono per un po' di cibo.
Yogyakarta (AsiaNews) "Tutto è successo in pochi secondi alle prime luci del mattino del 27 maggio: ero sull'altare quando la terra è tremata e quello che è successo dopo supera ogni immaginazione". Così inizia il racconto di p. John Pujasumarta, dell'arcidiocesi di Semarang, testimone del terremoto, che sabato scorso ha distrutto le zone a sud di Yogyakarta, a Java centrale. Il sacerdote parla con AsiaNews dell'iniziale terrore e poi della devastazione delle zone, che ha visitato nei tre giorni seguenti la tragedia, riferendo soprattutto degli ingenti danni subiti dalla comunità cattolica locale.
"Ero ancora sull'altare a celebrare messa nella cappella di Gesù Bambino a Kekancan Mukti diocesi di Semarang, quando ho sentito la terra tremare. Ho subito pensato: è un terremoto. Quello che è successo subito dopo va oltre l'immaginazione. Ogni cosa ha iniziato a muoversi e cadere. Mi sono preoccupato quando le linee telefoniche e l'elettricità sono andate fuori uso.
Subito dopo, insieme al mio vescovo, mons. Ignatius Suharyo, mi sono recato in visita alle zone più colpite dalla scossa: la reggenza di Klaten e quella di Bantul, entrambe a sud di Yogyakarta.
A Klaten, alcune parti della chiesa sono danneggiate, anche il parcheggio appena costruito davanti alla cappella Kebonarum è stato distrutto. La parrocchia di Gondang e il suo refettorio hanno subito gravi danni e molti degli abitanti hanno trovato riparo nel complesso della chiesa.
I fedeli della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Kalasan non possono più pregare nella loro chiesa ormai distrutta: la messa si celebra all'aperto e gli edifici annessi ospitano migliaia di sfollati e pazienti dell'ospedale Panti Rini, gestito dalle Sorelle di San Carlo Borromeo.
Ingenti danni anche per la parrocchia di Cristo Nostro Signore a Yogyakarta: il tetto è crollato, come pure il campanile, sotto le cui macerie è morto un fedele. Le funzioni religiose si continuano a celebrare all'aperto.
Niente messa in chiesa anche alla San Giuseppe, che eppure ha riportato solo lievi danni: la gente è ormaiha il terrore di stare chiusa in quattro mura con sopra un tetto. L'orfanotrofio delle Sorelle del Buon Pastore è ridotto così male, che i bambini passano la notte all'aperto, sistemati in un campo d'accoglienza.
La più devastata, però, è la chiesa del Sacro Cuore a Bantul. Qui sono morte tre persone, l'orfanotrofio vicino ha subito gravi danni, mentre è stato risparmiato l'ospedale Santa Elisabetta, sempre gestito dalle Sorelle di San Carlo Borromeo. La messa, a cui ho assistito il 27 maggio si è svolta all'esterno e con non più di 10 persone.
Nessuno, invece, si aspetta rimarrà in piedi la parrocchia di S. Giacomo a Bantul, troppo danneggiata.
Il 28 maggio mi sono recato a Wedi, reggenza di Klaten, dove abbiamo celebrato una funzione commemorativa delle vittime cattoliche locali, tra cui i genitori di p. Paulus Suparno, rettore della più famosa università gestita dai gesuiti a Yogyakarta. Anche a Klaten gli edifici cattolici rimasti in piedi offrono ora riparo per i numerosi sfollati.
La cappella di Ndalem a Panggil ha riportato danni pesanti: la chiesa e la sua scuola superiore ospitano i rifugiati.
Al seminario San Paolo di Yogyakarta si è svolto un incontro tra l'arcivescovo di Semarang, rappresentanti della Caritas Germania e della Conferenza episcopale indonesiana per organizzare gli aiuti. Al termine dell'incontro ci siamo spostati verso la regione di Ganjuran e Caben per visitare le vittime.
Il 29 maggio, sulla via che va verso Wonosari ho visto uno spettacolo, che mi ha stretto il cuore: la zona intorno a Prambanan è veramente distrutta: lungo la strada i giovani si sono trasformati in accattoni, che mendicano qualcosa da mangiare o da bere.
La parrocchia di Quasi-Bandung, a Wonosari, non è in gravi condizioni, come anche la parrocchia di San Pietro a Canisius. Purtroppo, invece, il sisma ha provocato seri danni al complesso delle suore delle Serve di Cristo; alcune religiose si sono rifugiate a Ngawen, altre sono tornate ai villaggi d'origine.
Tornando a Semarang mi sono voluto fermare di nuovo a Wedi, la zona più distrutta nella reggenza di Klaten; qui ho incontrato l'ex parroco locale, p. Saryanto, per discutere degli interventi di soccorso.
Al termine di questo viaggio quello che non riesco più a togliere dalla mente e dal cuore è il pianto dei sopravvissuti, che chiedono a Dio di far cessare le loro lacrime: i bambini piangono, perché hanno fame e gli adulti non possono fare niente. Dopo lo tsunami del 2004, l'Indonesia è ancora una volta in lutto e continua a piangere ". (MH)