05/04/2019, 13.38
UZBEKISTAN
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Tashkent, crolla il lavoro forzato nei campi di cotone

Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, nel 2018 l’uso di lavoratori trattati come schiavi è diminuito del 48%. Il 70% del territorio è usato per la coltivazione di cotone e grano. Un adulto su cinque è impiegato nella raccolta. Forme di caporalato e multe incentivano lo sfruttamento.

Tashkent (AsiaNews) – L’ultimo rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) delle Nazioni Unite evidenzia che nel 2018 per la prima volta c’è stato un crollo della manodopera forzata nei campi di cotone in Uzbekistan. Tuttavia i suoi risultati sono contestati dagli attivisti di Cotton Campaign, che da anni denunciano le condizioni di lavoro forzato cui è costretta la popolazione – compresi medici e insegnanti – pur di far fiorire l’industria più remunerativa del Paese. L’Ong ammette “sforzi significativi da parte del governo”, ma sottolinea anche che nel Paese “persiste uno sfruttamento sistemico del lavoro”.

La raccolta manuale del cotone è una pratica antica nel Paese dell’Asia centrale, cui vengono costretti anche i bambini. Il rapporto dell’Ilo s’intitola “Third party monitoring of child labour and forced labour during the 2018 cotton harvest in Uzbekistan” ed è stato pubblicato l’1 aprile. Il documento cita i dati della Banca Mondiale, secondo cui l’Uzbekistan è il sesto produttore al mondo di cotone. All’irrigazione dei campi esso destina il 65% delle proprie risorse idriche e il 13% di quelle elettriche.

In passato diversi Paesi a livello mondiale – tra cui l’Unione Europea – hanno boicottato il cotone esportato dall’Uzbekistan, frutto del lavoro forzato di migliaia di minori. Ad ogni modo, lo scorso anno l’Ilo ha annunciato che lo sfruttamento minorile era estinto, grazie anche al nuovo corso di riforme avviato dal presidente Shavkat Mirziyoyev, succeduto al compianto leader Islam Karimov.

Ogni anno il raccolto dura da settembre alla prima settimana di dicembre. Secondo l’agenzia dell’Onu, nel 2018 il settore ha usato 170mila manovali ridotti in stato di schiavitù, cioè il 48% in meno. Al tempo stesso i salari sono “aumentati fino all’85% rispetto al precedente periodo di raccolta” e i “raccoglitori sono stati pagati in tempo e in maniera corretta”. Secondo gli esperti, su una popolazione totale di circa 27 milioni di abitanti, un adulto su cinque (cioè 2,5 milioni) è impiegato ogni anno nei campi. Inoltre più del 70% dei campi sono coltivati a cotone e grano, nonostante il tentativo di diversificare la produzione agricola.

Ieri Cotton Campaign ha diffuso i risultati di un’indagine indipendente effettuata dall’Ong tedesca Uzbek-German Forum for Human Rights (Ugf). Nel 2018 quest’ultima ha effettuato 300 visite nei campi, monitorato oltre 100 aziende, effettuato 70 interviste. Per gli attivisti, esistono “segnali di progresso, ma rimangono enormi sfide”, dovute soprattutto a fattori strutturali. Secondo la direttrice Umida Niyazova, essi sono: il sistema gerarchico di quote lavorative che spinge i funzionari a mandare nei campi la gente comune; la produzione centralizzata e la scarsa manodopera soprattutto nei distretti rurali che aumentano la domanda di lavoro dei volontari; il fatto che il governo continui ad assegnate quote fisse di produzione alle regioni e scarica sulle spalle dei funzionari la responsabilità degli obiettivi di produzione. Questi ultimi a loro volta, per evitare le multe o il licenziamento, chiedono a imprenditori, settore pubblico e scuole di fornire impiegati.

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