Superiore Pime in Giappone: Evangelizzare è insegnare un’umanità ‘evangelica’, in rapporto con sé stessi e il mondo
Il Giappone è una “società all’apparenza perfetta” che schiaccia gli individui. Evangelizzare è formare all’incontro con Gesù, nella propria società. La “barriera insuperabile” della morte. Un workshop per aiutare i giovani a riscoprire il rapporto con sé stessi, gli altri e l’assoluto.
Roma (AsiaNews) – In Giappone, “società all’apparenza perfetta, ma che schiaccia gli individui”, evangelizzare non è dare il battesimo, ma insegnare un’umanità evangelica e un modo “umano” di vivere il rapporto con sé stessi, con gli altri e con l’assoluto. È la testimonianza di p. Andrea Lembo, superiore regionale del Pime nel Paese del Sol Levante.
Si nasce shinto, ci si sposa cristiani e si muore buddisti
Il Giappone è un Paese “aconfessionale”, dove la ritualità fa parte della vita quotidiana, testimoniata dalla famosa gentilezza ed educazione giapponese, e in cui la forma predomina. “Esiste un detto: in Giappone si nasce shinto, ci si sposa cristiani e si muore buddisti”, commenta p. Lembo. Qui entra in gioco quella che è la crisi antropologica del Giappone: una società all’apparenza perfetta, ma che schiaccia gli individui. Per questo, evangelizzare non si traduce nel numero dei battezzati, ma nella “formazione a un’umanità evangelica, all’incontro con la persona di Gesù che ti fa essere ‘più persona’, che ti fa dire: essere cristiano è donare la vita per l’altro, amare l’altro”.
Lavorando con i giovani, p. Lembo è restio a dare il battesimo senza un “percorso di umanizzazione” in cui essi imparino a vivere nei “binari che possono sembrare ‘asettici’ della loro società”. “Quello che stai vivendo lo devi trasformare, innanzitutto nella tua interiorità, intimità e umanità”. È un processo antropologico necessario, in cui la stessa Chiesa “fa fatica”. Una fatica che si percepisce in tutti gli aspetti della vita, anche alla fine: “Non è raro che la moglie cattolica venga con il marito, e ti dica ‘padre, vorrei che mio marito prendesse il battesimo, perché altrimenti quando moriremo saremo separati’”.
In una parrocchia di cui si occupava in precedenza, una donna vive una tragica esperienza. Madre di tre figli, ne perde un primo non battezzato, di 20 anni, per un incidente. Questo dolore la avvicina alla Chiesa. La tragedia colpisce di nuovo la sua famiglia: tre anni fa, il figlio di 41 anni sviene al lavoro: è un tumore ormai incurabile. La donna, sconvolta dal dolore, si rivolge al missionario. “Dopo la morte del primo figlio – racconta p. Lembo – lei aveva nel cuore: ‘Sarò eternamente separata da mio figlio, ma voglio che questo qui sia con me’”. Dopo tre mesi di coma, il giovane muore. “Il problema fondamentale è far capire che se Dio è unico, noi moriamo tutti in Cristo. Questo non per sminuire l’importanza del battesimo, ma per dire che nella nostra fede, i nostri legami umani e terreni sono uniti e lo saranno fino alla fine, anche nell’aldilà. Ho dato il battesimo al figlio, ma c’è stato soprattutto un cammino della mamma per capire che il legame che ha avuto con i figli è un legame che è eternamente in Dio. In un mondo buddista – soprattutto quello giapponese – in cui la morte è questa grande, insuperabile barriera, far capire questa cosa non è facile”.
“La difficoltà della missione in Giappone – continua p. Lembo – è che mentre in altri Paesi questo spessore umano noi lo riusciamo a veicolare con il servizio caritatevole – costruisco un pozzo, un ospedale – in Giappone questa ‘carità’ diventa camminare assieme: non ho niente materiale da darti, ma è questo donare un’umanità, qualcosa che ti faccia sentire più uomo, più donna perché ci siamo incontrati, che ti dice che nel passaggio nel quale ci siamo sentiti fratelli in senso evangelico”. Per il superiore, la missione ora appare in crisi. “Forse non siamo preparati ad affrontare il secolarismo, che molti definiscono un ‘mondo senza Dio’, io comincerei a definirlo un ‘mondo senza uomo’. Se recuperiamo l’umanità, possiamo recuperare la centralità di Dio, e questo è vero per qualsiasi religione”.
Un workshop con i giovani per riscoprire sé stessi, il rapporto con Dio e con gli altri
Per riscoprire questa umanità evangelica, p. Lembo ha deciso di dare il via a delle iniziative per i giovani, fra cui una qualche settimana fa, con i suoi amici Rafaela e Simone. I due insegnano in una nuova scuola a Karuizawa, inserita fra i Collegi del Mondo Unito, “una serie di scuole internazionali che hanno un nuovo modo di insegnare, attraverso l’esperienza”. In questa scuola ci sono 200 giovani fra i 15 e il 19 anni. Il 70% proviene da 35 Paesi diversi, e gli altri sono giapponesi.
In questo contesto, p. Lembo e gli insegnanti hanno organizzato un festival interreligioso, il cui focus era trovare “un punto di incontro fra ‘cuore’ e ‘corpo’” (v. foto 3 e 4). All’organizzazione del programma hanno partecipato quattro ragazzi giapponesi non cristiani, di cui solo uno sapeva parlare inglese.
Il primo workshop, “Incontro con me”, con “le parti di me che non mi piacciono”, lo ha tenuto Yasu, un giovane trainer sportivo per persone che fanno fatica ad accettare il loro corpo e carattere. “Yasu ha vissuto la tragica esperienza di essere ‘futoku’ – racconta il missionario – quei ragazzi che non se la sentono più di andare a scuola. È stato vittima di bullismo in seconda media, e ha cominciato ad avere paura degli altri e di sé stesso”. La svolta quando inizia a praticare boxe e trova un istruttore che gli insegna l’arte di “bilanciarsi fra cuore e corpo”. “Non ha mai vinto un match – scherza p. Lembo – ne avrà fatti 150, ne ha persi 150. Ma il suo maestro non ha mai ceduto. Durante il workshop, Yasu ha fatto fare agli studenti degli esercizi terrificanti, che però sono riusciti a far capire come l’intenzione positiva permetta di superare le cose più difficili. I ragazzi avevano limiti fisici e di paura: hanno scoperto che li potevano superare”.
Il secondo workshop, “Incontro con l’altro”, lo hanno tenuto due giovani fisioterapisti. “Abbiamo diviso i ragazzi in coppie per far capire il modo in cui il corpo dell’altro può reagire ai tuoi stimoli. La cura dell’altro attraverso il corpo, lo spazio dell’altro attraverso il mio spazio”.
Il terzo workshop si incentrava sull’”Incontro con l’infinito”. Lo ha tenuto Kikuchi, un ragazzo che si sta avvicinando alla fede cristiana e che studia arte e architettura giapponese. “Abbiamo preso i contatti con il kannushi (responsabile) di un tempio shinto lì vicino. Qui, il ragazzo ha spiegato il tempio, e mostrato il modo di viverlo come un’esperienza da vedere, ascoltare, percepire. Lo shinto è molto legato alla natura: è essenzialmente interagire con uno spazio sacro”.
“Per me questa è evangelizzazione – conclude p. Lembo – mettere in contatto esperienze umane, ognuno con la propria cultura, su rapporti fondamentali: io con me stesso, con l’infinito, con l’altro e la natura. Lì noi diamo quello spessore umano che ci fa crescere”.