Summit di Tianjin: Pechino fissa le proprie ‘linee rosse’ con Washington
Il vice segretario di Stato Usa Wendy Sherman ha incontrato i vertici della diplomazia cinese. Colloquio definito “franco e aperto”. I cinesi vogliono la fine delle interferenze Usa su Hong Kong, Xinjiang, Taiwan e Mar Cinese meridionale, e degli attacchi sull’origine del Covid.
Tianjin (AsiaNews) – Per la prima volta nella storia delle loro relazioni diplomatiche, la Cina ha presentato agli Usa una lista con “le linee rosse” che Washington dovrebbe rispettare, e una con i correttivi da assumere, per migliorare i rapporti bilaterali. A quanto riporta il ministero cinese degli Esteri, il vice ministro Xie Feng le ha consegnate oggi alla sua controparte Usa Wendy Sherman, in visita da ieri nel Paese asiatico.
L’inviata statunitense ha incontrato anche il ministro degli Esteri Wang Yi. Secondo il dipartimento di Stato Usa, i due hanno avuto un colloquio “franco e aperto”. Tradotto: le due parti hanno avuto un confronto dai toni molto accesi.
Stamane Xie ha dichiarato che la relazione tra Pechino e Washington è a un “ punto morto” e rischia “serie conseguenze”. Il rappresentate cinese ha accusato gli Usa di demonizzare la Cina e di condurre una diplomazia “coercitiva”, a differenza del suo Paese che non avrebbe mire espansionistiche. Diversi analisti fanno osservare che nazioni come Australia, India e Vietnam, per non parlare di Taiwan, potrebbero contestare tale affermazione, accusando i cinesi di portare avanti politiche commerciali e territoriali “coercitive”.
Pechino ha fissato i propri paletti esprimendo insoddisfazione per le pressioni Usa su dossier come Covid-19 e le sue origini, Hong Kong, Xinjiang, Taiwan e Mar Cinese meridionale. Le autorità del gigante asiatico imputano poi agli statunitensi di trattare in modo iniquo i cittadini cinesi che vivono negli Usa, di maltrattare i propri diplomatici e di fomentare sentimenti anti-cinesi e anti-asiatici.
La lista delle correzioni chieste da Pechino comprende la cancellazione delle sanzioni a personalità ed enti cinesi; la rimozione delle restrizioni ai visti ai membri del Partito comunista cinese, ai loro familiari e agli studenti; l’eliminazione delle limitazioni agli Istituti Confucio e alle aziende cinesi; il ritiro delle decisioni in base alle quali negli Usa i media cinesi sono considerati “agenti stranieri”; lo stop alla richiesta di estradizione dal Canada per Meng Wanzhou, amministratrice finanziaria di Huawei.
In una dichiarazione separata, il ministero cinese degli Esteri ha chiesto però agli Usa di adoperarsi per impedire che gruppi terroristi prendano il sopravvento in Afghanistan. Dopo 20 anni di presenza militare per eliminare al-Qaeda, Washington sta completando il ritiro delle proprie truppe dal suolo afghano. La mossa spaventa la Cina, preoccupata che il Paese confinante diventi una base da dove milizie islamiste possono lanciare attacchi nello Xinjiang.
Durante il primo vertice ad alto livello tra Stati Uniti e Cina dopo l’insediamento di Joe Biden, avvenuto in marzo in Alaska, si è consumato un duro scontro tra le due delegazioni. Gli inviati di Pechino e Washington si sono scambiati reciproche accuse di aver violato il protocollo. I rappresentanti statunitensi hanno detto che la Cina è una minaccia alla stabilità globale. I cinesi hanno risposto che gli Stati Uniti incitano altre nazioni ad attaccare il loro Paese.
Sherman è il funzionario Usa di più alto grado ad aver incontrato leader cinesi dall’incontro di Anchorage. Nei giorni scorsi, la numero due del dipartimento di Stato ha compiuto visite in Mongolia, Giappone e Corea del Sud. L’obiettivo dell’amministrazione Biden è di rafforzare la cooperazione con alleati e partner regionali, indebolitasi durante la presidenza Trump, per contrastare l’avanzata della Cina. L’ex presidente aveva inaugurato una politica più conflittuale con Pechino, confermata in sostanza dall’attuale inquilino della Casa Bianca.
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