Sulle elezioni l'ombra lunga di Khomeini
Intervista a p. Paolo Nicelli, PIME
Nel difficile e contraddittorio percorso delle elezioni, l'Iran sta cercando una via alla modernità, senza rinnegare le radici islamiche
Milano (AsiaNews) - Le elezioni che si tengono oggi in Iran sono a dir poco controverse, dopo che il Consiglio dei Guardiani, organismo di supervisione costituzionale composto dalla classe religiosa conservatrice, ha dichiarato oltre 2 mila candidati parlamentari "inadatti" alle elezioni. Tra costoro molti sono "riformisti", sostenitori della politica di apertura al processo di democratizzazione, che si vedono così estromessi dal voto. Per reazione, il partito Mosharekat ha deciso di non partecipare alle elezioni, unendosi al partito del presidente Khatami, l'Associazione del clero combattente. Contemporaneamente gli stessi deputati dimissionari hanno accusato il Consiglio dei Guardiani di voler soffocare le riforme e, di fatto, distruggere la Repubblica. Il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi ha recentemente dichiarato che non voterà e ha lanciato un allarme: la situazione in Iran è incandescente e potrebbe degenerare nel caos e nella violenza.
Per comprendere la portata delle elezioni e il contesto delicatissimo in cui hanno luogo abbiamo interpellato padre Paolo Nicelli, missionario del Pime, esperto di Islam.
I recenti eventi politici in Iran mettono in evidenza il profondo travaglio in atto nel paese: da un lato i riformisti, che vorrebbero maggiore apertura e profondi mutamenti politici, dall'altro la vibrata reazione della classe religiosa, tenacemente abbarbicata alle posizioni di potere. Va detto esplicitamente che entrambe si rifanno alla stessa matrice islamica e vorrebbero, a partire dall'identità religiosa, dar luogo a un sistema politico che coniughi le nuove istanze sociali con le direttive dell'islam.
Ma è possibile un processo di democratizzazione in un Paese dove esistono posizioni così radicalmente opposte su come debba essere una Repubblica islamica?
Più democrazia è ciò che il popolo iraniano chiede, ed è ciò che, tra alti e bassi, il governo attuale del presidente Khatami ha tentato di realizzare. Tuttavia, la decisione del Consiglio dei Guardiani, prima di bloccare le liste contenenti i candidati riformisti, poi di riammetterne alcuni, non è solo un atto di ostruzionismo politico contro le riforme di un governo giudicato troppo liberale. Ma è qualcosa che parte da più lontano, da principi filosofici e politici già presenti nel pensiero di Khomeini.
La Rivoluzione islamica khomeinista è ancora viva?
Le linee-guida del suo pensiero sono le stesse che muovono oggi i Guardiani della Rivoluzione. Khomeini voleva rendere il clero sciita la guida politica del paese, al fine di istituire una teocrazia di ordine sacerdotale. Questo dava al clero sciita la possibilità di recuperare quei privilegi e quel potere che lo Shah Pahlavi aveva loro tolti. Nel suo libro "Wilâyat al-faqîh" ("Il governo del giurista"), teorizza che solo gli esperti nella Legge islamica e non i politici avrebbero dovuto governare lo stato islamico in generale e l'Iran in particolare. Essi sono gli unici a poter interpretare la Sharî'a, e gli unici a controllare che ogni sua prescrizione venga applicata.
Sono le tesi cui si richiamano i Guardiani della Rivoluzione, che si autodefiniscono i custodi della tradizione islamica.
Secondo Khomeini, uno solo tra i giuristi esperti della Legge islamica, il più erudito e pio, deve diventare la Guida Suprema, o Capo Supremo, del paese, riconosciuto come tale dal popolo. A lui solo è affidato il più alto ufficio del governo religioso nel nome di Allâh, cioè quello di interprete del la Legge islamica. Questo, secondo Khomeini, è l'ordine voluto da Allâh ed esercitato da Allâh attraverso la sua Guida Suprema. Ecco dove il clero sciita riacquista tutto il suo potere di guida delle masse per porre fine alle congiure occidentali e alle logiche imperialiste. Pertanto il clero sciita ha una funzione politica fondamentale, di avanguardia nella società, scelto da Allâh, per realizzare la sua potestà nel mondo. È curioso notare la somiglianza fra queste idee e quelle marxiste gramsciane sul valore degli intellettuali nella società. Khomeini ha assimilato nel suo pensiero molte idee marxiste, ma dando loro una base religiosa islamica, sostituendo gli intellettuali con i mullah.
Qual è dunque la posta in gioco?
La posta in gioco di queste elezioni non è solo di carattere politico o di conflitto di interessi. Tocca aspetti più fondamentali del credo islamico sciita e quindi coinvolge anche l'aspetto religioso. Significa affermare una Riforma islamica che sia fondata sui fondamenti del credo sciita e non in contrasto con essi.
Perché è importante oggi seguire quanto succede in Iran?
Perché si tratta di un Paese-laboratorio. L'Iran è, senza ombra di dubbio, il paese islamico che più di tutti sta vivendo questa profonda richiesta di apertura alla modernità a partire proprio dalla base, da coloro che sono il futuro del Paese, cioè i giovani, che nelle università esprimono il loro desiderio di una Riforma, che spinga l'apertura al processo di democratizzazione del paese. Mi riferisco in particolar modo agli studenti appartenenti al movimento del Tahkim-e Vahdat (rafforzamento dell'unità), che recentemente hanno spedito all'inviato della Ue, Solana, un appello, dove si chiede all'Unione Europea di instaurare rapporti di tipo non solo economico e di volgere lo sguardo più ai diritti degli iraniani.
03/12/2021 11:00