Sud Thailandia, è alto il rischio di guerra civile
Bangkok (AsiaNews/Agenzie) – Crescono senza sosta le violenze nella Thailandia meridionale, in uno scenario ormai prossimo alla guerra civile. Gli estremisti islamici compiono continui attentati contro la popolazione buddista, colpendo anche le industrie. Ma aumentano pure gli omicidi contro i musulmani. La giunta militare appare più preoccupata di consolidare il potere a Bangkok.
La scorsa notte nella provincia di Yala presunti ribelli islamici hanno dato fuoco a un grande magazzino di gomma. Oltre 30 autocisterne dei vigili del fuoco hanno lottato per ore prima di domare le fiamme. Secondo un dirigente della Southern Land Rubber Co., leader del settore e proprietaria del materiale, ci sono danni per 400 milioni di bath (circa 10,28 milioni di dollari Usa) e la compagnia potrebbe chiudere, viste la crescente violenza e la mancanza di sicurezza, e licenziare i 500 dipendenti. La gomma è un’industria vitale per le povere province rurali della Thailandia meridionale.
Questa mattina ignoti hanno ucciso Hamsao Yakariya, insegnante islamico, sparandogli mentre era in motocicletta vicino al suo villaggio Ban Jurae a Tambon Rico, distretto di Sungai Padi.
La notte tra il 18 e il 19, mentre migliaia di persone (soprattutto cinesi) celebravano in strada il Nuovo anno lunare, ci sono stati una serie di attentati coordinati (con 29 bombe in 45 minuti). La stessa notte ignoti hanno ucciso 3 altre persone di origine cinese. In tutto ci sono stati 8 morti e circa 70 feriti. Esperti stimano che almeno 200 persone abbiano partecipato agli attentati. L’esercito ha arrestato 3 persone, che avrebbero confessato la partecipazione agli attentati e indicato come responsabile il gruppo estremista Runda Kumpulan Kecil, che in malese significa “Reparto per la restaurazione dello Stato Pattani”.
Nelle province meridionali di Yala, Narathiwat e Pattani, a maggioranza islamica in un Paese buddista, ci sono continui attentati e scontri fra la comunità musulmana e quella buddista. Gli islamici vogliono una secessione da Bangkok. Dal gennaio 2004 ci sono state circa 2 mila vittime, soprattutto civili, in quella che è una vera strategia del terrore. La ribellione è esplosa anche quale conseguenza della politica dura adottata dall’allora premier Thaksin Shinawatra nel sud per stroncare le aspirazioni separatiste. Il governo ha poi inviato l’esercito e gli attribuito poteri speciali con un decreto del luglio 2005. Ma i dati statistici mostrano che da quando l’esercito ha schierato 25 mila uomini nelle tre province (che insieme hanno 1,8 milioni di abitanti) gli attentati sono aumentati. La legislazione d’emergenza ha poi favorito abusi di esercito e polizia, mentre il governo non ha compiuto effettivi tentativi di trovare una soluzione pacifica.
La violenza è aumentata dopo la presa di potere dei militari a settembre, finora preoccupati più di consolidare il loro potere politico che della situazione nel sud. Per combattere l’ex premier Thaksin, i militari hanno diminuito le strutture di controllo e hanno persino portato via dal sud le strutture per le intercettazioni radio e telefoniche, per disporne a Bangkok.
Secondo fonti locali i ribelli hanno ormai il controllo del territorio, specie nelle comunità islamiche, anche grazie a una vasta rete di informatori. Pranai Suwannarat, capo di un gruppo per lo sviluppo della regione, spiega che “quando un insegnante è ucciso e bruciato al centro di un villaggio musulmano, nessuno osa dire i dettagli alla polizia.” “Nessuno vuole essere considerato un collaboratore del governo, per non fare la stessa fine”.
Secondo Srisompob Jitpiromsri della università Principe di Pattani a Songkhala, la situazione è talmente deteriorata che, “se il governo non riuscirà a fermare gli attentati, saranno inevitabili scontri tra buddisti e musulmani”. (PB)