Stragi di Pasqua, intellettuale musulmano: Rivedere l’interpretazione dell’islam
I massacri hanno aperto una ferita profonda nel Paese e aumentato i sospetti nei confronti dei musulmani. Questi ultimi si sentono in colpa verso i cristiani. La comunità islamica deve assumersi le proprie responsabilità, “altrimenti il processo di pacificazione non sarà servito”. L’estremismo non si finanzia da solo, “quindi ci vorrà tempo per sconfiggerlo”.
Colombo (AsiaNews) – “Ripensare, reinterpretare e comprendere” l’islam nel contesto della società srilankese; proteggere i giovani che sono vulnerabili; fare un’attenta auto-valutazione dei propri sbagli, con la consapevolezza che “l’estremismo non si sconfigge in una notte”. Sono i passaggi chiave di una lunga intervista al Moulavi Laffir Madani, 58 anni, insegnante di teologia islamica a Colombo, presidente della Hashimi Foundation e tesoriere della Inter-Religious Peace Foundation. L’intellettuale musulmano compie un profondo esame di coscienza all’indomani delle stragi terroristiche in Sri Lanka, e invita tutta la comunità musulmana del Paese ad assumersi la responsabilità dei propri errori: primo tra tutti, quell’atteggiamento “buonista” di facciata di quando si partecipa alle conferenze e si promette d’impegnarsi per la pace, mentre in realtà si pensa solo “Sono meglio io”. Di seguito ampi stralci dell’intervista che ci ha concesso (traduzione a cura di AsiaNews).
A distanza di un mese, quali sono le sue impressioni?
Eravamo scioccati e lo siamo tuttora. Credo che sulle nostre spalle ci sia una pesante responsabilità. Forse all’inizio non abbiamo capito la gravità della situazione e tra noi musulmani ci sono leader, capi politici, attivisti con grandi responsabilità. Al tempo stesso dobbiamo essere molto cauti, perché la soluzione all’estremismo non è altro estremismo. Tutta la nazione è responsabile. Come dice spesso il cardinale [Malcolm Ranjith, ndr], dobbiamo lottare insieme per uscire da tutto questo.
La sua comunità come interpreta l’attacco alle chiese?
C’è un poeta persiano chiamato Saadhi che dice che l’essere umano è come un corpo: se una parte è ferita, sentirai dolore anche alle altre. Quando incrociamo un cristiano, avvertiamo una specie di senso di colpa. Sappiamo di non essere coinvolti, ci dissociamo [dagli attentatori] e ripetiamo che essi sono stati influenzati: eppure facevano parte della nostra comunità. Questo non possiamo negarlo. Il disprezzo che gli altri ci dimostrano è giustificabile. Non possiamo dire “Io non c’entro nulla, sono stati loro”. Non possiamo sfuggire, dobbiamo accettare la realtà. Sappiamo però che esistono esempi diversi: come i musulmani che per secoli hanno protetto le statue di Buddha scolpite nella pietra a Bamiyan, in Afghanistan, fino a quando sono state distrutte [dai talebani nel 2001, ndr].
Come sono le vostre relazioni con i cristiani?
Dal punto di vista teologico, adoriamo lo stesso Dio. Il Corano lo dice chiaramente. Potrei citare innumerevoli passi del Corano in cui si parla di Abramo, Giacobbe, Giuseppe, Mosè e Gesù. Non sei un perfetto musulmano se non adori tutti questi profeti. Fanno parte della fede islamica. Inoltre veneriamo Maria, la vergine madre di Gesù. Il Corano ammette anche i matrimoni misti. Possiamo mangiare [alimenti simili], in particolare gli animali macellati. Se i cristiani macellano gli animali, noi possiamo nutrircene. È halal [“consentito”, ndr]. Ovviamente esistono tante differenze, come tra l’ebraismo e il cristianesimo. Ma di fondo siamo religioni rivelate da Dio. Con i cristiani non abbiamo mai avuto problemi.
Ha parlato di un solo Dio: allora perché gli estremisti musulmani hanno attaccato i cristiani?
Questi estremisti non accettano gli altri così come non accettano noi musulmani. Hanno raggiunto un livello tale di “esclusivismo” che credono di essere i soli musulmani, possedere dei diritti su questo mondo, essere rappresentanti di Dio e soldati di Dio, essere gli unici a comprendere il messaggio di Dio. Tutto questo non ha senso, è folle. Non sanno dove vanno e cosa stanno facendo. Di tanto in tanto emergono gruppi simili: prima i talebani in Afghanistan che uccidevano i musulmani dicendo che non erano musulmani perché avevano la barba troppo lunga e le donne perché non si coprivano abbastanza.
Ma come si può vivere in questo modo? La vita è vivere. Se stai al mondo, vivi insieme agli altri secondo la tua libertà, non puoi metterti in un angolo e respingere qualsiasi essere umano. Questa è un’ideologia sbagliata. Nel mondo ci sono 1,3 miliardi di musulmani: quanti di loro la pensano allo stesso modo? Il Corano non dice nemmeno una volta di uccidere i cristiani. In Sri Lanka l’islam esiste da 1.300 anni e nessun musulmano si è mai sollevato per uccidere altre persone. Questi gruppi stanno mal interpretando il Corano o vogliono usarlo per i propri scopi malvagi. Ci sono tanti discorsi, troppe interpretazioni. Io stesso ho letto dei testi di talebani e di membri di Boko Haram che hanno come obiettivo i cristiani in Nigeria. Poi c’è Al Shabab in Somalia e Al- Qaeda nello Yemen.
Tutti questi hanno un obiettivo diverso. Non ha niente a che fare con la religione: la religione viene semplicemente usata. La radicalizzazione è stata un lungo processo durato 30-40 anni e ora ne stanno raccogliendo i frutti. Sfortunatamente sono giunti anche alla nostra soglia.
Voi musulmani come state tentando di evitare il radicalismo?
Devo essere sincero, e forse alcuni musulmani non saranno d’accordo. Dobbiamo affrontare seriamente la questione. Come ho già detto, dobbiamo rivalutare noi stessi, capire cosa è andato storto. Altrimenti non avranno senso i programmi per la riconciliazione. Lavoro con un gruppo di persone da 20 anni e quando sono esplose le bombe stavamo lavorando tra Jaffna, Hambantota, Colombo e Batticaloa per creare armonia. Tuttavia avverto che non c’è piena sincerità, almeno dalla nostra parte. Non tutti quelli che lavorano per la riconciliazione e il processo di pace, fanno il proprio lavoro con sincerità. Vogliamo risultati immediati, li otteniamo e poi ce ne dimentichiamo. Ci sediamo attorno allo stesso tavolo, sorridiamo a vicenda, affermiamo che siamo una cosa sola. Ma non siamo sinceri. Non tutti ovviamente. A volte tendiamo a essere troppo concentrati sui progetti. Quando il progetto è concluso, i fascicoli sono chiusi, i risultati ottenuti, crediamo che tutto sia finito.
Dobbiamo iniziare a comprendere davvero l’altro, non solo a cercare i difetti nell’altro. Tante persone hanno la mentalità “Io sono meglio di te”. Questo approccio è molto pericoloso. C’è molto da fare. Dobbiamo reintrodurre il senso di umanità nell’islam, il senso di pace, la fraternità di cui parliamo. Dov’è la fraternità quando affermiamo che gli altri non sono musulmani e noi sì?
Dobbiamo stare attenti soprattutto ai giovani, non permettere che vengano affascinati dalla propaganda dello Stato islamico e degli altri gruppi. Dobbiamo insegnare loro che non è paradiso, ma solo un atto del male. Quando si assumono delle droghe, è come se si vivesse in un altro mondo. Credo che anche queste persone facciano uso di droga. È nostro compito impedire che i giovani siano deviati dalle prediche di elementi radicali. Non è troppo tardi. Possiamo ancora salvare delle vite e i nostri giovani, possiamo riabilitarli e reintrodurli nella società. Non possiamo semplicemente ignorarli dicendo che essi non sono musulmani e per questo non vogliamo seppellirli nei nostri cimiteri. Dissociarsi da queste persone è giusto, ma non possiamo negare il fatto che l’estremismo esiste. Tuttavia non so quanto la comunità musulmana sia in grado di contrastarlo. Un grande problema deriva dal fatto che l’estremismo è già nella società, ma non viene riconosciuto come tale.
Come pensano i musulmani di creare nuove opportunità di coesistenza?
La società musulmana è ancora sotto shock. Dobbiamo comprendere cosa è andato male e riconoscerne i segnali. Creare un attentatore suicida non è cosa semplice, lottare non è semplice. Ci vogliono tanti soldi. Non è facile affermare che i musulmani possono sradicare l’estremismo in una notte. Gli ingredienti dell’estremismo sono ancora presenti tra i musulmani. Non dobbiamo più permettere che si ripetano [simili tragedie]. Dobbiamo proteggere i nostri giovani, perché essi sono vulnerabili. La comunità islamica deve fare una seria auto-valutazione, ripensare, reinterpretare e capire [l’islam] nel contesto sociale dello Sri Lanka.
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