Sri Lanka: l'appello dei vescovi per i lavoratori delle piantagioni, schiavi da 200 anni
Nel 1823 gli inglesi cominciarono a trasferire dal Sud dell'India popolazioni Tamil da impiegare come manodopera a basso costo. Card. Ranjith: "Una forma di schiavitù che va avanti ancora oggi per tanti lavori. Siano accettati senza paura, e si comprenda che sono parte della scialuppa di salvataggio del Paese. La loro dignità va salvaguardata”
Colombo (AsiaNews) – In questo 2023 nello Sri Lanka ricorrono i 200 anni da quando nel febbraio 1823 migliaia di lavoratori Tamil iniziarono ad essere portati dai governi coloniali britannici dall'India del Sud sull’isola, per lavorare come manodopera a basso costo nell'industria delle piantagioni. Un anniversario che per la Chiesa cattolica dello Sri Lanka è diventata l’occasione per denunciare le condizioni di moderna schiavitù in cui i loro discendenti, due secoli dopo, ancora si trovano e chiedere al governo di Colombo misure stabili per garantire loro la dignità che meritano.
L’appello è stato lanciato il 30 giungo dal card. Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo, in una conferenza tenuta nella sede della Caritas nazionale (Sedec) a Borella insieme al vescovo di Jaffna Justin Gnanapragasam, che è anche presidente della Commissione per la giustizia, la pace e lo sviluppo umano e gli altri vescovi cattolici che rappresentano le zone delle piantagioni. I presuli di Kurunegala, Kandy, Badulla, Galle e Ratnapura hanno illustrato i gravi problemi tuttora affrontati da queste popolazioni in settori come l'istruzione, la sanità, i mezzi di sussistenza, le abitazioni, il diritto alla terra, nonché l’importanza del patrimonio culturale delle comunità delle piantagioni.
“Duecento anni fa sono stati le prime vittime di una forma di schiavitù che va avanti ancora oggi per tanti lavori, sotto il volto di un neocolonialismo – ha commentato il card. Ranjith -. Non ricevevano un salario adeguato e venivano utilizzati come cuochi senza un alloggio adeguato. I latifondisti bianchi hanno insegnato la loro cultura a quelli di questo Paese e così anche le aziende di oggi li sfruttano allo stesso modo”. L'arcivescovo di Colombo ha aggiunto che i loro problemi non si risolvono solo fornendo loro case, riparando strade, costruendo servizi igienici. “I governanti dovrebbero capire a fondo lo stile di vita di queste persone, che sacrificano il proprio lavoro e le proprie vite per un misero stipendio. Dovrebbero essere accettati senza paura, comprendendo che sono parte della scialuppa di salvataggio dello Sri Lanka. La loro dignità va salvaguardata”.
Parlando ai media delle condizioni nei campi, tutti i vescovi hanno detto che le tenute non hanno creato un contesto che permetta al popolo Tamil di sollevarsi dalla situazione in cui si trova. Per questo hanno rinnovato l’invito al governo in carica di attivarsi immediatamente. “Chiediamo che le autorità compiano passi concrei per permettere loro di vivere come cittadini dello Sri Lanka, con il rispetto che meritano”, ha dichiarato ad AsiaNews mons. Harold Anthony Perera, vescovo di Kurunegala e presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka.
“Già alcuni anni fa il governo aveva stabilito che il salario giornaliero dei lavoratori delle piantagioni dovesse essere di 1000 rupie, ma sono rimaste solo parole: ad alcuni lavoratori hanno ridotto le giornate lavorative. Questo significa che ancora una volta ricevono la stessa misera somma come salario”, ha raccontato mons. Valence Mendis, vescovo della diocesi di Chilaw. Il presule ha anche sottolineato che - sebbene la maggior parte delle tenute sia sotto il controllo di compagnie private - il governo dovrebbe negoziare per tutelare gli abitanti delle tenute. E sul piano delle 40mila case fatte costruire per loro in passato, ha ricordato che in alcune località di fatto non sono state ancora consegnate alla popolazione.
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