Spari a Beirut, morti e feriti alle manifestazioni sull'inchiesta per l'esplosione al porto
Almeno 5 persone uccise dai cecchini alla rotonda Tayouné, uno dei luoghi caldi della guerra civile. Al centro delle tensioni l'inchiesta del giudice Bitar che sta portando alla luce le responsabilità del movimento sciita nel disastro dell'agosto 2020.
Beirut (AsiaNews) - Scene di violenza che ricordano la guerra civile (1975-1990) sono scoppiate oggi in quello che fu uno dei luoghi più emblematici del conflitto: la rotonda di Tayouné, uno dei punti caldi della prima linea di demarcazione. Questo viale separa i quartieri di Aïn el-Remmaneh, prevalentemente cristiani, dal distretto di Chyah, prevalentemente sciita.
Le violenze sono iniziate intorno alle 11 quando, secondo fonti credibili, alcuni colpi sono stati sparati dai tetti di alcuni edifici contro i manifestanti di Hezbollah e Amal mentre si dirigevano verso il tribunale, per ottenere - su pressione della piazza - la rimozione del giudice Tarek Bitar dall'inchiesta sull'esplosione al porto che il 4 agosto 2020 ha devastato la capitale libanese.
A seguito della sparatoria, e per tre ore, nonostante la massiccia presenza dell'esercito, sono continuati pesanti scontri a fuoco, con l'utilizzo persino di granate B-7, tra cecchini e miliziani dei partiti sciiti. Il bilancio è di almeno 5 morti e una ventina di feriti, riferiscono fonti ospedaliere citate dalle agenzie. La sparatoria ha provocato il panico nelle strade e nei quartieri circostanti. La grande scuola dei Fratelli delle Scuole cristiane, situata ai margini della piazza Tayouné, è stata evacuata in un clima di panico. Molti residenti sono stati assistiti dalla Protezione Civile ed evacuati dagli appartamenti più esposti. Le ambulanze si riversavano per soccorrere i feriti nelle strade deserte.
L'esercito, i cui servizi di intelligence sono stati colti di sorpresa dall'incidente, ha isolato il quartiere e le pattuglie sono state viste invadere edifici da cui, secondo quanto riferito, sarebbero stati sparati colpi di arma da fuoco. I militari hanno avvertito che le truppe avrebbero aperto il fuoco senza preavviso su qualsiasi civile armato. La tensione si è allentata nel pomeriggio, ma è ovvio che questi gravi incidenti provocheranno strascichi nel Paese.
Al centro di questi incidenti c'è l'inchiesta sulla tragica esplosione nel porto di Beirut che sembra aver raggiunto una svolta importante, con un mandato di arresto emesso contro l'ex ministro delle Finanze, Ali Hassan Khalil, braccio destro di Nabih Berry, presidente della Camera, oltre a un mandato di comparizione contro l'ex capo del governo, Hassane Diab. La questione è aggravata dal fatto che il giudice titolare dell'inchiesta, Tarek Bitar, agisce nell'ambito di una struttura giudiziaria eccezionale, la Corte di giustizia, la cui giurisdizione si estende ai reati contro la sicurezza dello Stato e il cui giudizio non è oggetto di ricorso.
Il Consiglio dei ministri convocato lunedì dal capo dello Stato alla fine non si era potuto tenere per paura di un crollo del governo guidato da Najib Mikati e in carica da appena un mese. I ministri sciiti e i loro alleati avevano minacciato di dimettersi se il giudice Bitar non fosse stato sollevato dal caso. La posizione del presidente è abbastanza chiara: il Consiglio dei ministri non ha il diritto di rimuovere un giudice da una causa, per il principio della separazione dei poteri. Può farlo solo il Consiglio Superiore della Magistratura, qualora accerti una grave violazione dei doveri d'ufficio. Bitar è accusato da Hezbollah di "politicizzare le indagini". Prima di prendere una decisione, però, il Consiglio deve assicurarsi che queste accuse siano giustificate.
Inoltre, legalmente e politicamente, la posizione di Hezbollah è stata fortemente indebolita dalla visita di uno dei suoi alti funzionari, Wafic Safa, in tribunale e dai suoi incontri con il presidente del Csm e il procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Questo intervento diretto (e insolito) della formazione sciita nel corso dell'indagine giudiziaria solleva seri interrogativi.
Secondo le informazioni riportate dal quotidiano L'Orient-Le Jour, "Hezbollah ha informazioni precise secondo le quali il giudice Bitar intende attribuire al movimento gran parte delle responsabilità per l'esplosione del porto, in particolare per quanto riguarda l'arrivo di nitrato di ammonio a Beirut e il suo uso per fabbricare esplosivi. Secondo le stesse fonti, il magistrato intende sanzionare Wafic Safa, capo dell'unità di coordinamento di Hezbollah, per quella che ritiene essere una reiterata ingerenza nel dossier su quanto accaduto al porto”.
Se così fosse, verrebbe inferto un duro colpo all'immagine che la formazione sciita vuole dare di sé, implicandola in una catastrofe senza precedenti nella storia del Libano. Inoltre, i procedimenti che il giudice Bitar potrebbe avviare giungerebbero alla vigilia delle elezioni legislative e avrebbero così un impatto importante non solo sul suo elettorato, ma anche sui suoi rapporti con il suo principale alleato cristiano, la Cpl, che non nasconde la sua posizione di sostegno al giudice.