11/03/2025, 12.19
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Siria, mons. Mourad: Caschi blu Onu contro violenze interne e attacchi israeliani

di Dario Salvi

Dopo giorni di violenze e oltre un migliaio di vittime, anche cristiane, il governo di al-Sharaa ha dichiarato conclusa l’operazione contro gli alawiti sulla costa ovest del Paese. Damasco ha anche firmato un accordo di “integrazione” con i curdi. L'arcivescovo di Homs: per la pace servono una presenza internazionale e la cancellazione delle sanzioni. Dalle autorità finora promesse disattese. 

Milano (AsiaNews) - In Siria è fondamentale la presenza “di un contingente Onu, dei Caschi Blu delle Nazioni Unite” con il compito specifico “di proteggere i civili” in particolare “nelle zone in cui vi sono le minoranze”, oltre a garantire la tenuta “della frontiera con Israele”. È quanto sottolinea ad AsiaNews mons. Jacques Mourad, arcivescovo siro-cattolico di Homs, Hama e Dabek, in questi giorni in Germania per un intervento alla Conferenza episcopale tedesca incentrato sulla Siria. Il prelato non nasconde la propria preoccupazione per quanto avvenuto negli ultimi giorni, in cui si è consumato un “massacro” di civili, soprattutto alawiti, nelle città costiere di Tartous e Latakia, feudi dell’ex regime di Bashar al-Assad, e che non ha risparmiato i cristiani. “Per il momento il futuro è oscuro - ammette - e non vediamo ancora la luce” dopo anni di guerra civile e l’avanzata improvvisa dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) guidati dall’attuale presidente ad interim Ahmad al-Sharaa che, a dicembre, sono arrivati a conquistare Damasco. 

Sangue sulla ‘nuova Siria’ 

In queste ore il ministero siriano della Difesa ha annunciato la fine delle operazioni militari nella regione costiera occidentale. Le forze di sicurezza avrebbero “neutralizzato” fazioni lealiste legate ad Assad e si sta “preparando il terreno per un ritorno alla normalità”. In realtà, si è consumata una carneficina: secondo gruppi attivisti il bilancio è di oltre 1500 morti, fra i quali 1068 sono civili, anche cristiani comprese donne e bambini. L’escalation preoccupa il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che si dice “allarmato” dal numero di vittime e di “diffusi casi di esecuzioni sommarie di intere famiglie”.

Mons. Mourad, membro della comunità di Mar Musa fondata dal gesuita p. Paolo Dall’Oglio disperso dal 2013, egli stesso ostaggio dello Stato Islamico nel 2015 e liberato dopo più di quattro mesi, parla di “duro colpo” per il “progetto di nuova Siria” promesso dalle autorità. “Dopo due, tre settimane dal grande cambiamento [come chiama l’ascesa di Hts e l’esilio di Assad in Russia a dicembre, ndr] il popolo ha in parte perso fiducia nel nuovo governo e nel presidente.  Questo perché egli ha dichiarato cose che, poi, non ha realizzato o mantenuto. Ciò riguarda diversi ambiti della vita quotidiana, partendo dai salari oltre a opportunità di sviluppo che non si sono concretizzate”. Le criticità maggiori, prosegue, riguardano “l’ambito economico”, ma non mancano criticità ”sotto il profilo politico, nella stesura della nuova Costituzione, nel Congresso nazionale” e nel “dialogo fra le diverse comunità locali”. “Quanto sta avvenendo - racconta - non è certo quello che la popolazione sognava, o si immaginava. Vi è profondo dolore e dispiacere dopo questo spargimento di sangue, si respira di nuovo un clima di paura e preoccupazione per il futuro”. 

Regolamento di conti

Riflettendo sugli eventi che hanno portato all’operazione militare contro gli alawiti, mons. Mourad non può fare a meno di sottolineare come forze di sicurezza e gruppi affiliati ad Hts abbiano usato “le armi contro il popolo” in una sorta di “regolamento dei conti”. Perché se il pretesto era quello di colpire ex fedelissimi di Assad, in realtà “le vittime sono quasi tutte civili”, non infiltrati o esponenti del vecchio regime. Una escalation collegata in primis “alla mancanza di fiducia fra le diverse comunità” sottolinea il prelato, cui si collegano pratiche “manipolatorie” da parte del governo e dei gruppi armati: “Si era parlato di sequestrare le armi ai civili, di sottrarle al controllo dei diversi gruppi e di rafforzare un unico esercito nazionale siriano - ricorda - ma non si è fatto nulla all’atto pratico, soprattutto i militari non rispondono al compito di proteggere il popolo e il Paese. Anzi, finora è avvenuto il contrario”. 

Le violenze di questi giorni hanno colpito duramente anche i cristiani, pur mancando dati certi sul numero di vittime. Al tempo stesso, l’arcivescovo siro-cattolico esclude una componente confessionale alla base degli attacchi: “Sono stati coinvolti, e colpiti, perché abitano nella zona” teatro dell’escalation, perché “vivono negli stessi edifici, condividono il territorio, alcuni sono stati uccisi per caso, perché si trovavano nell’area durante la battaglia”. “Non vi è una questione di fede o un elemento confessionale - puntualizza - ma, dall’altro, sono una conferma del fatto che il massacro è stato perpetrato sulla pelle di civili, di persone innocenti, non contro gli alleati del vecchio regime”. E sui numeri, attorno ai quali permane l’incertezza, le vittime cristiane “sarebbero almeno 12, ma gli alawiti massacrati più di 1200. Il bilancio - afferma - è pesantissimo”.  

Curdi e Israele, sfide per la pace

Sempre ieri il governo di Damasco ha annunciato il raggiungimento di un accordo con Mazloum Abdi, capo delle Forze democratiche siriane (Fds) filo-curde, che porterebbe alla “integrazione” di tutte le istituzioni civili e militari dell’amministrazione autonoma curda nello Stato siriano. La presidenza ha diffuso un comunicato firmato dalle parti, precisando che riguarderebbe la “integrazione di tutte le istituzioni civili e militari del nord-est” comprese “le poste di frontiera e l’aeroporto”. Un passo dai contorni ancora incerti, perché poco si sa riguardo i passaggi che poteranno all’integrazione e altri aspetti non secondari, ma dal grande significato perché riguarda la principale minoranza etnica della Siria che, da sei anni, amministra in modo autonomo il nord-est del Paese. E che, in passato, si è rivelato una forza fondamentale nella lotta - pur con il sostegno degli Stati Uniti, che grazie a loro mantengono una presenza per procura sul territorio - contro lo Stato islamico e i movimenti della galassia radicale (da cui provengono peraltro gli stessi Hts). 

“Anche per quanto riguarda l’accordo con i curdi - afferma mons. Mourad - forse potrà davvero portare a una pace reale, ma dobbiamo aspettare e vedere come sarà applicato e se porterà dei frutti. Perché per me tutti gli accordi sono teoria, quello che conta è valutarne l’applicazione. Oggi la priorità resta quella di soddisfare le esigenze di base per la vita delle persone: elettricità, stipendi, acqua potabile, i bisogni di tutti i giorni. Il governo deve assumersi queste responsabilità, soddisfare queste priorità - sottolinea il prelato - ma, per il momento, la vita è forse peggio di prima”. 

Fra i fattori di criticità, due in particolare destano grande preoccupazione: le sanzioni internazionali e l’ingerenza - a colpi di raid dell’aviazione e incursioni sul territorio - israeliana. “Vi sono fattori interni ed esterni che ostacolano la ripresa, fra questi ultimi vi sono in particolare gli attacchi quotidiani di Israele. E tutto questo - prosegue - avviene senza che la comunità internazionale intervenga o dica alcunché, nessuna presa di posizione Onu, dell’Unione europea. Al contrario, è fondamentale mettere fine a questo attacco [dello Stato ebraico] alla Siria. Perché la domanda - aggiunge - è se la comunità internazionale vuole la pace per la Siria, oppure vuole alimentare l’escalation e la guerra, complicando la vita dei siriani. In questa prospettiva sembra far comodo una Siria distrutta e divisa - attacca mons. Mourad - ma se chiediamo alla gente, tutti rispondono di desiderare una nazione unica e unita, che possa vivere in pace”. 

Infine, il prelato sottolinea un ultimo fattore chiave di criticità: le sanzioni occidentali che pesano come un macigno sull’economia siriana. “Oggi è fondamentale rimuovere le sanzioni internazionali, perché questo - avverte - aiuterebbe veramente a rilanciare la vita, l’economia, e dare un po’ di sollievo e libertà al governo di agire, e verificare se veramente seguono le regole del diritto internazionale”.”In caso contrario la comunità internazionale deve assumersi le proprie responsabilità e intervenire, mediare, perché il popolo siriano non è la sola causa o ragione di quanto è successo, e da solo non può certo ripartire. In questa prospettiva si inserisce anche l’invio dei Caschi Blu Onu nelle aree sensibili, ma con una premessa ben precisa: non deve partecipare l’esercito turco - conclude - perché i siriani non vogliono un altro mandato”.

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