Sinodo: no ad antisemitismo e violenza, ma solidarietà ai palestinesi
La relazione dopo la discussione afferma che la stuazione dei palestinesi favorisce il fondamentalismo islamico, che è in crescita e soffoca ogni forma di libertà religiosa e, spingendo all’emigrazione, impoverisce i Paesi della regione. La scelta del dialogo, ma “nella verità”. I cristiani non si chiudano su se stessi, favoriscano democrazia, giustizia e laicità dello Stato.
Città del Vaticano (AsiaNews) - “Ferme nel rifiuto dell’antisemitismo e dell’antiebraismo, le Chiese del Medio Oriente “pur condannando la violenza da dovunque provenga, e invocando una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese”, esprimono “solidarietà con il popolo palestinese, la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo”, che prende vigore in tutta la regione. Ne deriva la mancanza di rispetto per la libertà religiosa, che è una delle cause principali della crescente emigrazione dei cristiani e di persone spesso colte di altre religioni, il che priva i Paesi di energie importanti.
E’ esplicita sulla drammatica situazione del Medio Oriente e in particolare dei cristiani che vi vivono la “Relatio post disceptationem”, la relazione dopo la discussione, letta questa mattina al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, alla presenza del Papa, dal relatore generale, l’arcivescovo l'arcivescovo egiziano Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei Copti.
“Le situazioni politico-sociali dei nostri Paesi - afferma ancora il documento - hanno una ripercussione diretta sui cristiani, che risentono più fortemente delle conseguenze negative”, in particolare di fatti come la guerra in Iraq e il conflitto tra israeliani e palestinesi. A proposito di quest’ultimo, la Relatio ribadisce l'auspicio per la soluzione dei due Stati e ricorda che “a piu' riprese la Santa Sede ha chiaramente espresso la sua posizione, auspicando che i due popoli possano vivere in pace, ognuno nella sua patria, con confini sicuri, internazionalmente riconosciuti”.
Ampio il capitolo sulla libertà religiosa. Essa “è alla base dei rapporti tra musulmani e cristiani” e “dovrebbe essere un tema prioritario nel dialogo interreligioso. Auspicheremmo – afferma il documento - che il principio coranico 'Nessuna costrizione nella religione' fosse realmente messo in pratica”. Alcuni padri sinodali “hanno parlato di costrizioni, di limiti alla libertà, di atti di violenza e di sfruttamento dei lavoratori emigrati in altri paesi”. Quest’ultimo fatto si inserisce nel crescente fenomeno dell'arrivo di numerosi lavoratori africani e asiatici di religione cristiani, in maggioranza donne. “Questi - spiegano i padri sinodali - vengono a trovarsi in un contesto a prevalenza musulmana e a volte con scarse possibilità per la pratica religiosa. Molti si sentono abbandonati, messi di fronte ad abusi e trattamenti scorretti, a situazioni di ingiustizia e d'infrazione delle leggi e delle convenzioni internazionali”. Al punto che “alcuni emigranti cambiano nome per essere accettati meglio e aiutati”.
Pur facendo presenti tali realtà, nessuno dei Padri, però, “ha citato i versetti del Corano sui quali si basani gli estremisti per giustificare il loro comportamento e gli atti di violenza”, e “questo dimostra l'atteggiamento lodevole dei pastori che vedono ciò che ci unisce e mette pace piuttosto che ciò che separa”. “La nostra vicinanza con i musulmani e' consolidata da 14 secoli di vita comune, caratterizzata da difficoltà ma anche da molti aspetti positivi”.
Netta, quindi, la scelta per il dialogo che, per essere proficuo, esige che cristiani e musulmani si conoscano meglio. “Abbiamo il dovere di educare i nostri fedeli al dialogo interreligioso, all'accettazione della diversità religiosa, al rispetto e alla stima reciproci”. “I pregiudizi ereditati dalla storia dei conflitti e delle controversie, da una parte e dall'altra devono essere attentamente affrontati, chiariti e corretti”. In ogni caso, “il dialogo deve realizzarsi nella verità”.
Anche nell’attuale situazione, comunque, i cristiani “tenderanno a radicarsi sempre di più nelle loro società e a non cedere alla tentazione di ripiegarsi su se stessi in quanto minoranza”. Invece, “in base alle possibilità presenti in ogni Paese, i cristiani devono favorire la democrazia, la giustizia e la pace, e la laicità positiva nella distinzione fra religione e Stato e il rispetto di ogni religione”.
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