Sinodo: cristiani e islam, esigere la libertà religiosa, combattere l’estremismo
di Samir Khalil Samir
Al Sinodo per il Medio Oriente emergono nuovi punti di forza per la missione: l’estremismo come piaga che soffoca cristiani e musulmani; la necessità di riconoscere i cristiani quali cittadini a parte intera della società; il diritto all’annuncio del vangelo. Un resoconto dei dibattiti di questa settimana da parte di uno degli esperti dell’assemblea sinodale.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Una novità espressa con forza nel corso del Sinodo è che i cristiani non sono chiamati a combattere contro l’islam. Al contrario, negli interventi dei padri sinodali e in quelli degli ospiti musulmani è emersa la necessità di collaborare insieme per fermare l’estremismo e garantire piena cittadinanza ai cristiani nelle società mediorientali.
Possiamo dire che l’idea centrale emersa nella prima settimana di lavoro del Sinodo è come aiutare i cristiani a vivere in Oriente, dove il cristianesimo è nato, ma dove esso è anche ormai una minoranza.
1. Tolleranza, cioè anche discriminazione
Il problema maggiore a cui assistiamo in tutti i Paesi, è che i cristiani – lentamente o bruscamente – emigrano per motivi anzitutto politici, poi economici, più raramente per precisi motivi religiosi di persecuzione. In alcuni Paesi si intromette però anche la discriminazione continua contro i cristiani.
Le discriminazioni sono la conseguenza dell’atteggiamento della maggioranza musulmana in tutti i Paesi della regione. Tale atteggiamento della comunità nazionale gioca un ruolo nel dare ai cristiani un ruolo di cittadini di seconda classe.
I musulmani dicono sempre che l’islam è tollerante. In un senso, l’affermazione è vera: il cristiano e l’ebreo sono tollerati e hanno vissuto per secoli con i musulmani, nell’impero musulmano. Ma il cristiano oggi non vuol essere tollerato, vuole essere cittadino, punto e basta!
Dal punto di vista giuridico e organizzativo l’islam si è strutturato nel VII-IX secolo. A quell’epoca, il concetto di totale uguaglianza fra le religioni non era concepito neanche in occidente e fra i cristiani. Il cuius regio eius religio è valso in Europa fino al 1600.
Non dobbiamo perciò stupirci che il sistema giuridico musulmano, strutturatosi al più tardi nel IX secolo, non dia l’uguaglianza giuridica ai cristiani. Tale sistema considera cristiani ed ebrei come protetti dal potere musulmano, in cambio della sottomissione e del divenire dhimmi.
Questo sistema, per l’epoca, non era cattivo: era la cosa più tollerante del tempo, esistente già nel mondo greco e persiano. Fra i greci, ad esempio, vi erano i metochoi, quelli che vivono con noi “nella casa”, quelli che condividono con noi il Paese. Ma il criterio allora era etnico-culturale. Con l’islam si pratica lo stesso sistema, ma il criterio diviene religioso. I musulmani (persiani, arabi, turchi, africani…) sono (o dovrebbero essere) tutti uguali, con gli stessi diritti; i non musulmani credenti (ebrei e cristiani) possono vivere con l’islam, ma sotto alcune condizioni; i non credenti (corrispondenti ai barbari del mondo greco), non possono vivere con i musulmani e devono essere banditi dalla città o devono convertirsi.
Tale sistema è rimasto in opera fino alla fine dell’800. E’ vero che il sultano ottomano Abdul-Medjid ha inaugurato il suo regno con la famosa carta, il hatt-i sciarif di Gulhane, proclamando il 3 novembre 1839 l’uguaglianza di tutti i soggetti dell’impero, qualsiasi sia la loro religione. Era una delle riforme (Tanzimat) per rinnovare l’impero. Ma il popolo non l’ha accettata e non è stata applicata. Il concetto di cittadino (con uguali diritti e doveri) come è emerso in occidente, non è mai stato accettato. Ancora oggi nei Paesi islamici il sistema che regge tutto è quello della sharia, più o meno applicato.
2. Dibattito sulla laicità
In Egitto, nella Costituzione del 22 maggio 1980 è stato introdotto, nell’articolo secondo, il principio della sharia, secondo cui essa è “la fonte principale” della legislazione. Ciò introduce elementi che non danno piena cittadinanza ai cristiani.
Quello che i cristiani del Medio Oriente chiedono non è solo di essere ben trattati, ma di essere riconosciuti come cittadini, con gli stessi diritti, così che nessuna religione abbia dei privilegi.
Questo è il nostro concetto di laicità.
A questo proposito, durante il Sinodo, parecchi interventi hanno criticato l’espressione “laicità positiva” contenuta nell’Instrumentum Laboris (IL) per due volte, anche facendo riferimento a Benedetto XVI. Il testo originale dell’IL era in italiano-francese. L’espressione indica perciò un elemento correttivo al concetto di laicità europea, esprimendo soprattutto una sua neutralità senza inimicizia verso la religione.
Per noi arabi, invece, la parola “laicità” è sconosciuta. Essa è stata tradotta per la prima volta nell’800, usando la parola ‘almāniyyah, che deriva dal concetto di “secolarizzazione”. Ma questo concetto evoca per i musulmani una realtà simile all’ateismo. Per questo, quando si usa questa traduzione di “laicità”, vi sono malintesi. Bisogna spiegare che si parla di una società civile neutrale, ma non nemica delle religioni e che riconosce tutte le religioni. E questo corrisponde molto di più alla mentalità musulmana e cristiana orientale: noi non vogliamo l’emarginazione della religione, la separazione totale fra politica e religione, politica ed etica. Questa è la critica che i musulmani e i cristiani orientali fanno all’occidente.
I padri sinodali, allora, chiedono una società credente, ma dove tutte le fedi siano riconosciute nella parità.
3. Libertà religiosa per tutti
In tal senso, durante la prima settimana del sinodo, si è sviluppato il principio di libertà religiosa. Si vuole chiedere agli Stati del Medio Oriente che riconoscano il principio della libertà religiosa totale. Esso include: il diritto di rinunciare a una religione; di aderire a una religione o di cambiare religione; il diritto di essere ateo; la parità di trattamento fra le religioni, proprio secondo la Carta dei diritti umani dell’Onu.
Ciò non significa cancellare la religione, ma dare ad essa spazio fino a che la religione non entra in conflitto con altre leggi dello Stato. Ad esempio, se la sharia va contro in qualche legge dello Stato, la legge statale ha la prevalenza. In nome della sharia non si può, ad esempio, obbligare chiunque a digiunare durante il Ramadan, come invece avviene oggi in tutti i Paesi della penisola arabica (Arabia, Saudita, Yemen, Paesi del Golfo) e anche in Algeria, Marocco, etc.
4. Diritto di proclamare la propria fede
L’altro punto più importante in questa linea è il diritto di testimoniane ed annunciare la propria fede. L’annuncio del vangelo è un obbligo per i cristiani, come quello di annunciare l’islam lo è per i musulmani; ma è quasi dappertutto vietato ai cristiani, anche in Paesi che si definiscono “laici” come la Turchia o la Tunisia, mentre lo Stato mette a disposizione tutti i mezzi per diffondere l’islam e fare la Da’wah, cioè la propaganda islamica. Se uno si converte al cristianesimo in segreto, lasciano fare, ma se uno proclama la sua nuova fede in pubblico, rischia l’espulsione o l’uccisione. Al di là del Libano – unica eccezione – negli altri Paesi arabi il convertito non avrà pace.
In Tunisia un sacerdote egiziano è stato espulso perché teneva incontro culturali con i giovani ed è stato accusato di proselitismo; in Turchia sono stati uccisi predicatori e gli assassini sono stati perseguiti in modo blando dalle forze dell’ordine; e si tratta di due Paesi “laici” e moderati. Tutti questi governi non ordinano l’uccisione, ma chiudono un occhio verso le uccisioni. Talvolta, sono gli stessi genitori o parenti che uccidono i convertiti.
Un altro fatto nuovo nel Sinodo è la presa di coscienza che le Chiese d’oriente da secoli immersi in questi freni all’evangelizzazione – hanno perso il senso missionario. Diversi padri sinodali hanno detto: “Dobbiamo ritrovare il senso della missione”.
Il fatto che i cristiani emigrano a causa della pressione islamica, ha portato i padri sinodali a due atteggiamenti: il primo, quello di dire che l’islam in sé è intollerante, porta in sé i germi della chiusura, e hanno citato i versetti coranici del caso. Ma questa linea è sostenuta da un piccolo gruppo. La maggioranza degli interventi invece, ha fatto notare che nell’islam troviamo anche una tendenza tollerante. Molti musulmani vogliono vivere in pace con i cristiani e dunque il problema dell’intolleranza è comune ai cristiani e ai musulmani. L’estremismo è fomentato da ragioni non religiose, anche se si mostrano con aspetti religiosi.
Esistono fanatici che spingono all’emigrazione i cristiani, condannandoli come “kāfir” (miscredente), condannando anche i musulmani che non seguono la stretta ortodossia da loro propugnata.
I padri hanno sottolineato che cristiani e musulmani devono combattere l’estremismo che si appoggia sulla religione. I musulmani ripetono che l’islam è la religione del giusto medio (dîn al-wasat); i cristiani devono collaborare con i musulmani per elevare il livello della società, rendendola più umana.
Il compito dei cristiani è alzare il livello della presa di coscienza nella società, un impegno umanistico, culturale, ma anche religioso, esaltando il perdono, la pace, ecc., cercando nel Corano e la Bibbia tutto cio’ che invita a quest’affinamento della coscienza. Del resto anche nel Corano si trova il principio del perdono (anche se in maniera più blanda che nel Vangelo).
5. Intervento di Muhammad al-Sammak
Questo impegno di far lievitare i valori nelle società arabe è stato anche il tema dell’intervento di Muhammd al-Sammak, musulmano sunnita libanese. Egli ha detto che grazie ai cristiani, la società musulmana ha accresciuto il suo livello culturale e positivo per farla progredire. Nel suo intervento (pronunciato in arabo), egli ha affermato:
“Due aspetti negativi sono la causa del problema dei cristiani d’Oriente: il primo riguarda la mancanza di rispetto dei diritti dei cittadini nella piena uguaglianza di fronte alla legge in alcuni Paesi. Il secondo riguarda l’incomprensione dello spirito degli insegnamenti islamici specifici relativi ai rapporti con i cristiani…
“Per questo, siamo chiamati, in quanto cristiani e musulmani, a lavorare insieme per trasformare questi due aspetti negativi in aspetti positivi: in primo luogo, attraverso il rispetto dei fondamenti e delle regole della cittadinanza che opera l’uguaglianza prima nei diritti e poi nei doveri. In secondo luogo, ostacolando la cultura dell’esagerazione e dell’estremismo nel suo rifiuto dell’altro e nel suo desiderio di avere il monopolio esclusivo della verità, e rafforzando e diffondendo la cultura della moderazione, dell’amore e del perdono, in quanto rispetto della differenza di religione e di fede, di lingua, di cultura, di colore e di razza e poi, come ci insegna il Sacro Corano ci rimettiamo al giudizio di Dio riguardo alle nostre differenze. Sì, i cristiani d’Oriente sono messi alla prova, ma non sono soli.”.
Egli dunque sottolinea che cristiani e musulmani sono nella stessa difficile situazione di fronte all’estremismo. E aggiunge:
“La presenza cristiana in oriente, che opera e agisce con i musulmani, è una necessità sia cristiana che islamica. È una necessità non solo per l’Oriente, ma anche per il mondo intero. Il pericolo di un calo di questa presenza a livello quantitativo e qualitativo è una preoccupazione sia cristiana che islamica, non solo per i musulmani d’Oriente, ma anche per tutti i musulmani del mondo.
6. Conclusione
Muhammad al-Sammak mette in luce diverse volte che in Medio Oriente (e nel mondo) senza la presenza dei cristiani vi è un regresso, una ricaduta all’indietro della società.
Io penso che questo pensiero sia un punto di forza dei padri sinodali: nel proporre non tanto una… lotta contro l’islam, ma una collaborazione fra cristiani e musulmani contro l’estremismo islamico. Questa posizione positiva non è un nuovo “buonismo”: i padri riconoscono che nell’islam vi è anche una tendenza intollerante, ma essi comprendono che nel mondo musulmano vi sono speranze di sviluppo e cambiamento, anche se non così evidenti e chiare come nel mondo cristiano.
Ciò che appare con forza e evidenza è che la maggioranza dei Padri sinodali è convinta che l’unica strada costruttiva è di affrontare insieme, musulmani e cristiani, le debolezze della nostra società che si trova essere in profonda crisi.
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