Sinodo: Papa, comunione, partecipazione, missione parole-chiave di una Chiesa in cammino
Momento di riflessione per l’inizio del Processo sinodale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Divenire “una Chiesa dell’ascolto” dello Spirito e dei fratelli, una “Chiesa della vicinanza” che “stabilisca maggiori legami di amicizia con la società e il mondo”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – L’assemblea del Sinodo non è un parlamento con le logiche della maggioranza e della minoranza, ma un processo indicato da tre parole: “comunione, partecipazione, missione”. Papa Francesco ha definito così, stamattina nell’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, il Momento di riflessione per l’inizio del Processo sinodale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
Rivolgendosi ai presenti – vescovi, sacerdoti, religiosi e laici – “siete venuti – ha detto Francesco - da tante strade e Chiese, ciascuno portando nel cuore domande e speranze, e sono certo che lo Spirito ci guiderà e ci darà la grazia di andare avanti insieme, di ascoltarci reciprocamente e di avviare un discernimento del nostro tempo, diventando solidali con le fatiche e i desideri dell’umanità”.
Le prime parole-chiave del Sinodo, comunione e missione sono “espressioni teologiche”. Designano “il mistero della Chiesa e di cui è bene fare memoria” e il compito affidatole da Cristo. E Paolo VI volle “condensare proprio in queste due parole - comunione e missione - le linee maestre, enunciate dal Concilio”.
Ma, “comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno. Vorrei dire che celebrare un Sinodo è sempre bello e importante, ma è veramente proficuo se diventa espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera. E questo non per esigenze di stile, ma di fede. La partecipazione è un’esigenza della fede battesimale”. Proprio dal Battesimo, “punto di partenza, nel corpo ecclesiale”, deriva “l’uguale dignità dei figli di Dio, pur nella differenza di ministeri e carismi. Per questo, tutti sono chiamati a partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione. Se manca una reale partecipazione di tutto il Popolo di Dio, i discorsi sulla comunione rischiano di restare pie intenzioni. Su questo aspetto abbiamo fatto dei passi in avanti, ma si fa ancora una certa fatica e siamo costretti a registrare il disagio e la sofferenza di tanti operatori pastorali, degli organismi di partecipazione delle diocesi e delle parrocchie, delle donne che spesso sono ancora ai margini. Partecipare tutti: è un impegno ecclesiale irrinunciabile!”.
Il Sinodo dunque “offre una grande opportunità per una conversione pastorale in chiave missionaria e anche ecumenica”, ma presenta tre rischi, a partire dal formalismo. “Se parliamo di una Chiesa sinodale, non possiamo accontentarci della forma, ma abbiamo anche bisogno di sostanza, di strumenti e strutture che favoriscano il dialogo e l’interazione nel Popolo di Dio, soprattutto tra sacerdoti e laici” perché "delle volte c’è qualche elitismo nell’ordine presbiterale che lo fa staccare dai laici e il prete diventa alla fine il padrone della baracca". Il secondo rischio è l’intellettualismo, “far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio”, sui problemi della Chiesa e del mondo, un “parlarci addosso” nel quale si finisce per “ricadere nelle solite sterili classificazioni ideologiche e partitiche e staccandosi dalla realtà del Popolo santo di Dio, dalla vita concreta delle comunità sparse per il mondo”. Il terzo rischio è “la tentazione dell’immobilismo”, il “siccome si è sempre fatto così è meglio non cambiare” che è “un veleno nella vita della Chiesa”. Col pericolo che “si adottino soluzioni vecchie per problemi nuovi”.
Il Sinodo sia invece “occasione di incontro, ascolto e riflessione”, “un tempo di grazia che, nella gioia del Vangelo, ci permetta di cogliere almeno tre opportunità. La prima è quella di incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare. Il Sinodo ci offre poi l’opportunità di diventare una Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare. Ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera, ascoltare i fratelli e le sorelle sulle speranze e le crisi della fede nelle diverse zone del mondo, sulle urgenze di rinnovamento della vita pastorale, sui segnali che provengono dalle realtà locali. Infine, abbiamo l’opportunità di diventare una Chiesa della vicinanza che non solo a parole, ma con la presenza, stabilisca maggiori legami di amicizia con la società e il mondo: una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori affranti con il balsamo di Dio”.
Da parte sua, il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, concludendo la sessione, ha innanzi tutto ricordato che l’attuale XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo inizia il 10 ottobre 2021, con la messa del Papa in San Pietro. Seguirà poi il “cammino” di tutte le Chiese particolari con l’ascolto di tutto i Popolo di Dio e la fase celebrativa, con l’Assemblea dell’ottobre 2023, e ancora quella successiva, attuativa. In proposito, il cardinale ha chiesto se “è così impossibile immaginare, ad esempio, di ricorrere al voto sul Documento finale e sui suoi numeri singoli solo quando il consenso non sia certo? Non basta prevedere obiezioni motivate al testo, magari firmate da un numero congruo di membri dell’Assemblea, risolte con un supplemento di confronto, e ricorrere al voto come istanza ultima e non desiderata?”.
E ancora: “se invece di terminare l’assemblea consegnando al Santo Padre il documento finale, facessimo un altro passaggio, quello di restituire le conclusioni dell’assemblea sinodale alle Chiese particolari”. “Il documento finale arriverebbe al Vescovo di Roma, che da sempre e da tutti è riconosciuto come colui che emana i decreti stabiliti dai concili e dei sinodi, già accompagnato dal consenso di tutte le Chiese”. “In questo caso il Vescovo di Roma, principio di unità di tutti i battezzati e di tutti i vescovi, riceverebbe un documento che manifesta insieme il consenso del Popolo di Dio e del Collegio dei Vescovi: si darebbe il caso di un atto di manifestazione del sensus omnium fidelium, che sarebbe al contempo anche un atto di magistero dei Vescovi sparsi per il mondo in comunione con il Papa”.
23/12/2021 12:14
29/10/2018 08:20