Sinai, portavoce Chiesa cattolica: I cristiani sono considerati "obiettivi legittimi"
P. Rafic Greiche: milizie estremiste considerano i non wahabbiti “dei nemici da colpire”. L’area è “da tempo” teatro di violenze; per i miliziani chiese e sacerdoti sono “un target legittimo”. L’uccisione del sacerdote copto ortodosso in concomitanza con l’anniversario della deposizione di Morsi: "Un evento non casuale”.
Il Cairo (AsiaNews) - Nella regione del Sinai “i cristiani sono da tempo un obiettivo” di terroristi che si proclamano “jihadisti di ispirazione wahabbita” e che vedono nelle minoranze religiose o nelle altre confessioni musulmane “dei nemici da colpire”. È quanto afferma ad AsiaNews p. Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, commentando l’assassinio di un sacerdote copto ortodosso, ucciso ieri a colpi di arma da fuoco nella Penisola del Sinai. “Si tratta di un’area - aggiunge p. Rafic - già al centro di gravi episodi di violenze di matrice jihadista, con l’uccisione di soldati, poliziotti, militari. Nella zona chiese, sacerdoti e religiosi sono considerate un target legittimo”.
In particolare, dietro l’attacco di ieri mattina vi sarebbero le milizie dello Stato islamico (SI) che hanno rivendicato su un sito web filo-estremista l’assassinio del 46enne Raphael Moussa, deceduto sul colpo dopo che alcuni proiettili lo hanno colpito alla testa. Al momento dell’attacco egli si trovava in piedi accanto alla sua auto nella città di El-Arish, località costiera e capoluogo della provincia del Sinai settentrionale, a soli 20 km di distanza dal confine con Gaza. Si tratta di un’area crocevia di traffici di armi e milizie, ancora oggi fuori controllo per l’esercito del Cairo.
Dopo aver celebrato la messa il sacerdote, sposato e padre di due figli, aveva portato la sua vettura da un meccanico perché necessitava di riparazioni. In pochi minuti un commando è entrato in azione e lo ha freddato. Dal 2012 egli era al servizio della parrocchia di San Giorgio a El-Arish. In un sito web jihadista le milizie del “Califfato” hanno rivendicato l’uccisione, accusandolo di aver “combattuto l’islam” e per questo è stato punito con la vita.
“Questa è una mentalità radicata nei gruppi combattenti - spiega il portavoce della Chiesa cattolica egiziana - che va combattuta sia sul piano militare, sia attraverso l’educazione e la scolarizzazione delle nuove generazioni. Un processo lungo, che richiede tempo, ma necessario”.
Raphael Moussa era giunto nella zona nel 2012 assieme a p. Mina Aboud, sacerdote copto morto nel luglio 2013 anch’egli per mano di milizie estremiste. L’assassinio è avvenuto nel contesto delle violenze seguite al colpo di Stato militare che, all’epoca, aveva destituito l’allora presidente Mohammed Morsi, sostenuto dai Fratelli musulmani.
L’omicidio di ieri giunge in concomitanza con l’anniversario della grande manifestazione popolare contro Morsi - era il 30 giugno 2013 - in seguito alla quale il generale al-Sisi, oggi presidente, era intervenuto arrestando Morsi e mettendo al bando la Fratellanza. Le frange estremiste islamiche non hanno mai perdonato ai cristiani copti di essersi schierati con al-Sisi, oggi garante dell’unità nazionale e difensore libertà religiosa, sebbene le voci critiche lo accusino di usare la forza per reprimere il dissenso e violare i diritti civili.
La concomitanza dell’attacco al sacerdote con l’anniversario “potrebbe non essere casuale”, sottolinea p. Rafic Greiche, il quale aggiunge che “sempre ieri a Minya sono state bruciate le case di alcuni cristiani”. Questi episodi di violenza, aggiunge, potrebbero essere “una vendetta dei sostenitori di Morsi, che vogliono colpire i cristiani perché non hanno sostenuto al tempo il presidente”. Del resto, conclude, “ogni volta che c’è una ricorrenza o un anniversario sensibile si verificano attacchi”.
10/04/2017 09:42