Si riaffaccia in Asia centrale il pericolo dell’estremismo islamico
Tashkent (AsiaNews/Agenzie) – Un attentato suicida uccide un poliziotto e ne ferisce diversi nella città di Andijan il 26 maggio. Lo stesso giorno ignoti sparano contro la polizia uzbeka a Khanabad, lungo il confine con il Kirghizistan. Torna la preoccupazione dell’estremismo islamico nella valle Ferghana, crocevia di diverse nazioni.
Entrambi gli attentati sono stati rivendicati dall’Islamic Jihad Union (Iju), derivato dal più noto gruppo terrorista Islamic Movement of Uzbekistan già accusato di altri attentati nell’Asia centrale.
Fonti kirghise dicono che a Khanabad sono morti 4 poliziotti che hanno cercato di fermare un’auto diretta in Kirghizistan. Invece le autorità uzbeke negano ci siano morti e dicono che l’auto proveniva dal Kirghizistan. Versione rifiutata da Bishkek, che dice di avere un perfetto controllo sulla sua frontiera. Ora il confine a Khanabad è presidiato dall’esercito uzbeko.
Questi incidenti evidenziano la situazione di instabilità e di violenza diffusa nella valle Ferghana, che è divisa tra i due Stati e il Tagikistan e che ha visto numerose proteste sociali dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La zona è tra le più povere e le più popolate dell’Asia Centrale, c’è un’elevata disoccupazione e scarsa attenzione dei rispettivi governi per il benessere sociale.
Matthew Clemens, esperto del Jane’s Information Group, commenta all’agenzia Radio Free Europe che questa miscela “rende la popolazione sensibile ai gruppi radicali, capaci di incanalare questa insoddisfazione”.
La situazione è aggravata dalla politica del governo di Tashkent, che afferma che la disoccupazione nel Paese è inferiore all’1%, mentre ogni anno milioni di uzbeki cercano lavori stagionali in Russia, Kazakistan e persino nei pur poveri Kirghizistan e Tagikistan.
Inoltre nel maggio 2005 ad Andijan l’esercito ha sparato su pacifici dimostranti uccidendone centinaia. Il governo, invece che fare chiarezza, ha sempre affermato che c’è stata una sommossa e da allora ha incarcerato, torturato e condannato numerosi testimoni oculari della vicenda, per ridurli al silenzio.
La situazione è talmente incerta che molti esperti dubitano che l’Iju sia davvero responsabile per gli attentati e sospettano che la criminalità della zona sia piuttosto sostenuta da funzionari corrotti, in entrambi gli Stati confinanti. Con la popolazione ancor più abbandonata a se stessa e possibile strumento di ideologie radicali.