23/05/2011, 00.00
VATICANO - CINA
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Sheshan: la guerra di Pechino e la “guerra” del Papa

di Bernardo Cervellera
Ogni anno il santuario di Sheshan è trasformato in un campo di battaglia: poliziotti, controlli, telecamere, metal detector, per sconfiggere l’appello del papa all’unità della Chiesa in Cina, nella Giornata mondiale di preghiera per i cattolici cinesi. Lager, arresti domiciliari, divieti non frenano la preghiera anche nelle prigioni. I tentativi di dividere la Chiesa e la nostra solidarietà.
Roma (AsiaNews) - Ogni anno, la collina del santuario della Madonna di Sheshan, vicino a Shanghai, si trasforma in un campo di battaglia. Proprio il giorno della sua festa, il 24 maggio, Maria aiuto dei cristiani, centinaia di poliziotti in divisa e in borghese pullulano come attente formiche;occhiute telecamere vigilano ogni angolo della collina su cui sorge la chiesa; guardie controllano i documenti ai pellegrini, facendo loro varcare i metal detector, come se si volesse sconfiggere un nuovo tipo di terrorismo.
 
Il “terrorista” (spirituale!) in questo caso sarebbe il papa e i suoi seguaci che dal 2007 ha chiesto ai cattolici di tutto il mondo di celebrare di ogni anno una Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina in coincidenza con la festa e il pellegrinaggio a Sheshan.
 
Nella sua Lettera ai cattolici cinesi (2007), indicendo la Giornata, il papa aveva espresso l’intenzione che attraverso la preghiera si rafforzi l’unità fra cristiani sotterranei e ufficiali e la comunione col successore di Pietro, chiedendo anche al Signore la forza di perseverare nella testimonianza cristiana, pur fra le sofferenze della persecuzione.
 
Da allora Pechino “ha dichiarato guerra”, facendo sì che quell’unità non si avveri. Per questo, come già detto in altre parti, nei giorni scorsi decine di preti sotterranei sono stati arrestati; altri sono stati condotti a forza “in vacanza a spese del governo” perché non si rechino al santuario. Anche i cattolici ufficiali, riconosciuti da Pechino soffrono di limitazioni: proibito andare a Sheshan nel mese di maggio; obbligo di restare nella propria diocesi; blocco dei pellegrini stranieri.
 
In passato, il 24 maggio decine di migliaia di cattolici ufficiali e sotterranei andavano in pellegrinaggio al santuario, in un gesto comune di preghiera e riconciliazione. Ora solo qualche centinaio di fedeli della diocesi di Shanghai riesce a superare tutte le barriere pregando la Madre di Dio, aiuto dei cristiani.
 
Quest’anno, i motivi per pregare erano ancora più acuti. Lo scorso novembre Pechino ha fatto ordinare un vescovo a Chengde senza il permesso del papa; a dicembre 40 vescovi, sacerdoti e laici sono stati deportati obbligandoli a partecipare all’Assemblea dei rappresentanti cattolici, non riconosciuta dal pontefice, per eleggere i vertici del Consiglio dei vescovi e dell’Associazione patriottica. Fra loro vi sono vescovi scomunicati. Giorni fa il presidente emerito dell’Associazione patriottica, Antonio Liu Bainian, ha minacciato di far ordinare ancora decine di vescovi senza il consenso del papa.
 
La Chiesa di Cina si trova impotente di fronte a questa guerra a tutto campo lanciata per dividere e distruggere le già provate comunità cattoliche ufficiali e sotterranee.
 
Proprio per questo, lo scorso 18 maggio Benedetto XVI ha esortato ancora una volta i fedeli nel mondo e soprattutto i cinesi a pregare il 24 maggio per i vescovi e i sacerdoti della Cina, alcuni dei quali “soffrono e sono sotto pressione nell'esercizio del loro ministero”; altri hanno bisogno di superare “la tentazione di un cammino indipendente da Pietro”; altri ancora “sono irretiti dalle lusinghe dell'opportunismo”.
 
La guerra di Pechino è fatta di controlli, divieti e di arresti: decine di sacerdoti sotterranei ai lavori forzati; vescovi scomparsi da decenni nelle mani della polizia; terrore e minacce a vescovi, sacerdoti ufficiali e loro famiglie. La “guerra del papa” è invece la preghiera anche per i governanti secondo “il comandamento che Gesù ci ha dato di amare i nostri nemici e di pregare per coloro che ci perseguitano” (v. Lettera n. 19).
 
Sappiamo chi sta vincendo: dopo oltre 60 anni di potere, di persecuzione, di progetti per far nascere una Chiesa indipendente da Roma, i cristiani in Cina rimangono ancora uniti al papa. E pregano secondo le sue indicazioni: in molte diocesi cinesi, per il 24 maggio sono previste celebrazioni, adorazioni eucaristiche, rosari per l’unità della Chiesa con il papa. Un sacerdote sotterraneo di Shanghai, impossibilitato nel suo ministero, prega dalla sua stanza-prigione: “Nostra Signora di Sheshan, benedica la Chiesa in Cina. Tutti i sacerdoti possano godere della libertà di evangelizzare il nostro Paese”.
 
Questa Chiesa sofferente ha bisogno anche della preghiera e della solidarietà della Chiesa universale.
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