Seoul: sostanze tossiche 622 volte fuori norma negli abiti per bambini dalla Cina
Nelle sue ispezioni periodiche, il governo cittadino ha (di nuovo) trovato la presenza troppo elevata di sostenze chimiche in capi di abbigliamento per neonati venduti sulle piattaforme come Temu, Shein e AliExpress. Anche altri Paesi della regione avevano già segnalato i diversi problemi legati agli e-commerce cinesi.
Seoul (AsiaNews/Agenzie) - Sostanze tossiche nei vestiti per bambini fino a 622 volte i livelli consentiti. È quanto il governo metropolitano di Seoul ha scoperto nell’ultima ispezione di prodotti provenienti dalla Cina e venduti su piattaforme online come Temu, Shein e AliExpress. Si tratta di analisi periodiche da parte dell’amministrazione locale, che già ad agosto di quest’anno aveva lanciato l’allarme sui prodotti venduti sugli e-commerce cinesi.
L’amministrazione locale ha spiegato che su 26 articoli per bambini e neonati analizzati, in sette di questi sono state trovate sostanze chimiche dannose. Per esempio, scrive il Korea Herald, una giacca venduta su Temu conteneva plastificanti ftalati (sostanze che possono alterare le funzioni endocrine) superando di 622 volte i livelli consentiti dalla legge. In un’altra tuta venduta su Temu i livelli delle sostanze erano 294 volte superiori ai limiti legali, rendendo il pH dell’indumento pari a 7,8, anch’esso al di fuori dell'intervallo consentito, che in Corea del Sud è tra 0,4 e 7,5.
Un paio di scarpe vendute su AliExpress conteneva invece livelli di piombo cinque volte superiori alla norma, ma per alcune tutine per neonati i livelli sono saliti a 19 volte fuori dai limiti consentiti. La stessa piattaforma ha venduto una tutina per neonati che conteneva 3,5 volte il livello di plastificanti ftalati permesso.
Il governo della città ha dichiarato che intende condurre ulteriori test sulla sicurezza concentrandosi sui prodotti la cui domanda è stagionale, per cui il mese prossimo verranno ispezionati i giocattoli per bambini e le decorazioni natalizie.
Anche altri Paesi della regione hanno bloccato le vendite dalle piattaforme cinesi: l’Indonesia aveva sollevato il problema che i prodotti vengono venduti direttamente dalle fabbriche cinesi direttamente ai consumatori, attività contraria alle norme indonesiane che prevedono la presenza di un intermediario o di un distributore. Anche il Vietnam aveva minacciato di chiudere la piattaforma di e-commerce cinese perché non aveva effettuato l’iscrizione al registro statale prima di cominciare a operare.