Senza libertà religiosa, la “società armoniosa” è un bluff
Roma (AsiaNews) – Uno dei più grandi “bluff” nella storia del Partito comunista cinese si sta consumando a Pechino. Dietro le porte chiuse della Grande sala del popolo, dove sono radunati oltre 2 mila delegati del Pcc, si parla di “libertà religiosa” e di “rispetto per tutte le fedi”, mentre nel Paese continuano persecuzioni e violenze contro membri delle comunità religiose, con vescovi scomparsi, isolati, morti in circostanze oscure; attivisti protestanti trascinati nei lager o picchiati. Tutto questo avviene mentre l’idea di “società armoniosa” - il progetto-sogno di Hu Jintao, segretario del Partito e presidente della Cina – sta per essere inserito nella stessa costituzione del Pcc.
L’idea di “società armoniosa” che Hu Jintao intende promuovere prevede una maggior partecipazione di tutte le fasce della popolazione allo sviluppo della Cina. Esso suggerisce pure una riconciliazione sociale nel Paese che vede almeno 200 rivolte violente al giorno con scontri fra popolazione e polizia.
Ieri in margine ai lavori del 17° Congresso, Ye Xiaowen, direttore dell’Amministrazione statale per gli Affari religiosi, ha concesso un’intervista ai giornalisti stranieri, in cui vanta “un ruolo sempre più importante delle religioni nello sviluppo sociale ed economico del Paese”. Egli ha anche detto che “il governo desidera rispettare la fede di tutti i suoi cittadini, proteggere i loro interessi e fare ogni sforzo per facilitare il loro essere attivi nello sviluppo sociale”.
Mentre Ye deliziava i giornalisti con i suoi slogan di libertà, in un quartiere poco distante dall’aula del Congresso, Hua Huiqi, un predicatore protestante sotterraneo veniva pestato a sangue, per la seconda volta in una settimana. Hua è agli arresti domiciliari per aver tentato di radunare e difendere legalmente un gruppo di abitanti di Pechino le cui case sono state espropriate. Il secondo pestaggio è avvenuto perché Hua stava cercando di andare fuori di casa in un bagno pubblico, ma soprattutto perché ha rifiutato di collaborare con la polizia che gli domandava la lista delle persone che lui aveva contattato.
Ye Xiaowen, 58 anni, ricopre la sua carica dal 1998. Si deve a lui la caccia ai cristiani sotterranei, trattati come “delinquenti comuni che disturbano l’ordine pubblico” perché si incontrano nelle case a pregare, rifiutando il controllo delle Associazioni patriottiche. Una statistica di qualche anno fa, stilata da organizzazioni protestanti, dice che fra di loro vi sono stati 23.686 arresti; 4014 condanne alla rieducazione; 129 persone uccise. In questi anni la persecuzione contro le comunità evangeliche si è accresciuta. Una delle ultime notizie pubblicate da AsiaNews (8 ottobre 2007) è il “ritrovamento” nei lager di 9 leader protestanti scomparsi lo scorso luglio.
Vescovi e sacerdoti scomparsi
Verso i cattolici Ye Xiaowen segue lo stesso schema. Dal ’98 ad oggi la chiesa sotterranea è stata decimata, mentre il governo fa qualche passo di distensione con il Vaticano. A tutt’oggi, nella Cina che si gloria di essere un Paese moderno e all’avanguardia, 4 vescovi sono scomparsi nelle mani della polizia. Si tratta di 3 vescovi sotterranei e uno riconosciuto dal governo. Essi sono:
1) Mons. Giacomo Su Zhimin (diocesi di Baoding, Hebei), 74 anni. Arrestato e scomparso dal 1996. Nel novembre 2003 è stato visto nell'ospedale di Baoding, controllato dalla polizia, dove ha subito cure al cuore e agli occhi. Ma dopo pochi giorni è scomparso ancora.
2) Mons. Cosma Shi Enxiang (diocesi di Yixian, Hebei), 85 anni. Arrestato il 13 aprile 2001. Mons. Shi è stato ordinato vescovo nel '82. Era stato in prigione per 30 anni. L'ultima volta fu arrestato nel dicembre '90, poi rilasciato nel '93. Da allora è vissuto in isolamento forzato fino al suo ultimo arresto.
3) Mons. Giulio Jia Zhiguo, vescovo di Zhengding (Hebei), 74 anni,è detenuto in una “casa di ospitalità” sotto il controllo della polizia, in un luogo sconosciuto. I motivi per cui è stato di nuovo imprigionato – mon. Jia ha passato almeno 15 anni in prigione e viene di continuo arrestato – sono legati al fatto che egli si apprestava a diffondere una lettera pastorale di commento alla Lettera del Papa ai cattolici cinesi e preparava l’ordinazione di alcuni sacerdoti sotterranei.
4) Mons. Martino Wu Qinjing, vescovo ufficiale di Zhouzhi (Shaanxi), 39 anni, è dal 17 marzo 2007 nelle mani della polizia e dell’Associazione Patriottica (AP). È probabile che egli sia tenuto in isolamento forzato a Lintong o Xian, dove viene sottoposto a “sessioni di studio”. Gli è vietato ogni contatto con i suoi fedeli e i suoi preti. Mons. Wu Qinjing è stato consacrato nel 2005 dal defunto arcivescovo di Xian, mons. Antonio Li Duan. Pur essendo riconosciuto dalla Santa Sede, egli non è accettato dall’AP. Per l’organizzazione di controllo, che vuole costruire una Chiesa indipendente da Roma, l’ordinazione di mons. Wu è illegale perché avvenuta sotto il controllo di “forze straniere”.
Fra gli ultimi arresti di sacerdoti va segnalato quello di p. Giuseppe Lu Genjun, amministratore della diocesi di Baoding (Hebei), 47 anni. Ha già sofferto 3 anni di lager. Arrestato nell’agosto 2004, poi liberato, è stato arrestato il 18 febbraio del 2006 ed è detenuto in località sconosciuta, senza processo e senza accuse precise. È stato arrestato insieme a p. Paolo Huo Junlong, 52 anni, anch’egli amministratore della diocesi di Baoding. Attualmente, secondo fonti di AsiaNews, vi sono almeno 11 sacerdoti in arresto.
Le morti sospette in prigione
La scomparsa di queste personalità ecclesiastiche suscita molta preoccupazione nella Chiesa cinese. In prigione o in isolamento i vescovi e i sacerdoti sono sottoposti a torture fisiche e a pressioni psicologiche che ne debilitano la salute. Negli ultimi due anni, due vescovi sotterranei sono morti mentre erano sequestrati:
a) Mons. Han Dingxian (diocesi di Yongnian/Handan, Hebei), morto il 9 settembre scorso all’età di 68 anni. Era scomparso nelle mani della polizia da 2 anni, è stato portato all’ospedale di Shijiazhuang. Lì la polizia ha chiamato alcuni dei suoi parenti più stretti a visitarlo e poco dopo il prelato è caduto in coma. A poche ore dalla sua morte (avvenuta alle 11 di sera), al mattino presto, la salma è stata subito cremata e seppellita in un cimitero pubblico, senza possibilità per fedeli e sacerdoti di poterlo vedere, salutare e benedire. Mons. Han aveva passato in prigione quasi 35 anni della sua vita.
b) Mons. Giovanni Gao Kexian, vescovo non ufficiale di Yantai (Shandong), morto la sera del 24 gennaio 2005 in un ospedale della città di Bingzhou (Shandong), all’età di 77 anni. Il vescovo era prigioniero della polizia da oltre 5 anni. Il giorno dopo il vescovo è stato immediatamente cremato e seppellito alla presenza di alcuni poliziotti. Come per mons. Han, a nessun fedele o familiare è stato permesso di partecipare. Anche il vescovo Gao è morto senza alcun conforto religioso, né benedizione della salma.
Molti vescovi e sacerdoti, ritornati dalla prigionia o dall’isolamento presentano malattie e consunzione, dovuti alle violenze subite in carcere: Mons. Giuseppe Fan Zhongliang di Shanghai, 87 anni, vive malato e sorvegliato; mons. Giacomo Lin Xili, 86 anni, di Wenzhou (Zhejiang), profondamente segnato nel fisico, dopo 3 anni di carcere, si trova dal 2002 in isolamento. Anche due sacerdoti di Wenzhou, p. Shao Zhumin e p. Jiang Sunian, liberati di recente, devono sottoporsi a cure mediche per problemi al cuore, alla respirazione e all’udito, per le violenze subite in prigione.
Religioni, motore della “società armoniosa”
Ieri Ye XiaoWen si è vantato che tutte le religioni in Cina “sono in crescita”. Non ha detto che, secondo una ricerca universitaria pubblicata di recente, crescono soprattutto le comunità sotterranee, cioè proprio quelle che rifiutano il controllo dell’Ufficio affari religiosi.
Un sondaggio dell’università Normale di Shanghai (cfr AsiaNews.it 7/2/2007) afferma infatti che i cinesi che credono in una religione, sono almeno 300 milioni, il triplo di quanto affermato dalle statistiche governative, che misurano solo le comunità ufficiali.
Forse Hu Jintao non sa che almeno un quarto del suo popolo non gode di libertà religiosa (pur garantita dalla costituzione) e per questo non riesce a partecipare, né a contribuire al sogno della “società armoniosa”. La mancanza di libertà religiosa emargina la creatività di centinaia di milioni di fedeli che devono constatare ogni giorno che lo stato è loro nemico. Perché non lasciare libere queste risorse umane per edificare la società? Alla fine del maoismo, negli anni ’80, l’agricoltura cinese era soffocata dalla pianificazione statale. È bastato che Deng Xiaoping desse la possibilità alle famiglie dei contadini di coltivare in proprio la terra e vendere direttamente i prodotti al mercato, per registrare un incremento del 300-400% della produzione! Si potrebbe dire lo stesso per le religioni.
Già oggi molte comunità ufficiali e sotterranee offrono il loro servizio a poveri, anziani, handicappati, contadini, analfabeti dimenticati dallo stato. La libertà religiosa potrebbe anche sanare in modo non violento i possibili scontri sociali temuti dal Partito. Maggiori contatti con le Chiese e le religioni all’estero potrebbero dare una spinta a rapporti culturali ed economici benefici per la Cina stessa. Già oggi cinesi di Hong Kong, di Taiwan, di Singapore, emigrati in Australia, Canada, Stati Uniti aiutano le loro comunità di origine, sovvenzionando scuole, dispensari, università. La stessa cosa fanno le chiese d’Europa e d’America.
La libertà religiosa conviene alla società e all’economia: essa crea simpatia all’estero, creatività e solidarietà all’interno e diviene fonte di moralità per una società caratterizzata da un alto tasso di suicidi e da un altissimo tasso di corruzione. Forse solo la libertà di religione garantirà una vera “società armoniosa”.