Segretario Caritas: Un sacerdote a famiglia per ricostruire vite in frantumi (Foto)
P. Mahendra Gunatilleke racconta i massacri compiuti nel giorno di Pasqua. “Sono stati una tragedia devastante. Le persone continuavano a interrogarsi sull’esistenza di Dio”. Il sacerdote: Rinsaldare la fiducia tra le comunità e spingere i musulmani a integrarsi.
Roma (AsiaNews) – Dopo gli attentati di Pasqua, in Sri Lanka “le persone non volevano comunicare con nessuno perché erano troppo devastate. L’unica cosa che chiedevano era di pregare con loro. Così abbiamo deciso di assegnare ad ogni famiglia un sacerdote o una suora. Essi stanno diventando i custodi dello spirito di queste famiglie: le accompagneranno, faranno con loro un percorso. Non vogliamo che si sentano sole”. Lo afferma ad AsiaNews p. Mahendra Gunatilleke, segretario nazionale di Caritas Sri Lanka. Egli si trova a Roma per partecipare alla XXI Assemblea generale di Caritas Internationalis che si conclude oggi.
Il sacerdote racconta la disperazione seguita alle stragi dello scorso 21 aprile, compiute in tre chiese durante le messe domenicali e in tre hotel nell’orario della colazione. Egli delinea i programmi messi a punto per ricostruire la fede spirituale e curare le ferite fisiche dei sopravvissuti, con una certezza: “Sono convinto che se una comunità viene accompagnata da punto di vista pastorale, spirituale, psicologico, e le persone restano insieme, il recupero sarà più veloce”.
I massacri nelle chiese, dichiara, “sono stati una tragedia devastante. Essi sono avvenuti pochi giorni prima delle celebrazioni per il decimo anniversario della fine della guerra civile, su cui tutti eravamo concentrati”. All’indomani della carneficina, costata la vita a 257 persone, “le persone erano senza speranza. Ripetevano con ossessione: ‘Perchè è accaduto tutto questo? Ho perso la mia famiglia, non voglio svegliarmi la mattina. Non ho bisogno di andare in chiesa. Dio non esiste’”. “Ci stiamo impegnando molto – aggiunge – nel ricostruire la fiducia tra le persone, le relazioni interreligiose andate in frantumi. Ci sono ferite fisiche che dobbiamo curare, ma anche mentali e psicologiche, che sono ancora più difficili da superare”.
Di fronte alla disumana tragedia, la Caritas ha risposto in maniera immediata, facendosi carico dell’assistenza a feriti e sopravvissuti, cattolici e protestanti. Alcuni risultati sono già visibili: “Abbiamo creato un desk di pastorale psico-sociale con volontari che forniscono sostegno legale e psicologico. Poi vogliamo attivare programmi di breve e lungo periodo per garantire i mezzi di sostentamento, l’educazione, l’assistenza medica”.
I numeri sono elevati: almeno 150 persone tra i parenti delle vittime e altre 600 famiglie per coloro che sono rimasti feriti. Per quanto riguarda il finanziamento, “possiamo contare sull’ombrello della famiglia Caritas e sui partner cattolici. Ma vorremmo creare legami tra i benefattori e le famiglie colpite, con i primi che diventino sponsor dei secondi per alcuni anni. Finora abbiamo raccolto l’adesione di un buon numero di famiglie; ci resta da creare il network per coordinare tutto questo”.
Oltre ai cattolici, la Caritas sta aiutando la comunità protestante di Batticaloa dove si trova la Zion Church, una delle chiese colpite (v. foto). P. Mahendra afferma: “Il 24 maggio alcuni di noi sono andati lì a distribuire fondi. Ad ogni famiglia abbiamo consegnato 50mila rupie [283 euro]. I cattolici di Colombo sono già coperti, grazie ad una somma di denaro raccolta dal card. Malcolm Ranjth e consegnata a Caritas-Sedec [ufficio di Colombo]. Il cardinale ha dato a noi solidarietà e noi l’abbiamo portata ai cristiani di Batticaloa”.
Infine, un ultimo pensiero proprio ai cristiani e ai musulmani che vivono nella parte orientale dell’isola: “È da lì, dalla frazione di Kattankudi, che provenivano i fondamentalisti del National Thowheed Jamath autori dalla strage. Tutti sanno che negli ultimi anni in quella zona si è diffusa l’ideologia radicale, con legami non solo con lo Stato islamico, ma anche con i predicatori provenienti dall’Arabia Saudita. Da parte del governo c’è stata una completa negligenza. Allo stesso tempo però, c’è bisogno che i leader musulmani comprendano il valore della riconciliazione nazionale e della pace, abbandonando una mentalità troppo concentrata su di sé che tende a non integrarsi”. “Noi – conclude – faremo di tutto per riportare i nostri fratelli musulmani al tavolo del dialogo”.
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