Scontri tra fazioni in Cisgiordania, ma si muore ad Ain al Hilweh
Viaggio nel campo profughi palestinese in Libano dove nell'ultima settimana sono riprese le violenze con almeno 18 morti e oltre un centinaio di feriti. La paura della gente in un'area di appena 1,5 chilometri quadrati dove vivono oltre 120mila persone. Sospese anche le celebrazioni dei greco-cattolici per l'odierna festa dell'Esaltazione della Croce. Il timore di un allargamento degli scontri ad altri campi. Escluso, al momento, l’intervento dell’esercito libanese.
Beirut (AsiaNews) - P. Antoine Assaf, rettore del grande santuario greco-cattolico di Nostra Signora d’Al-Mantara a Maghdousha, villaggio a sud di Sidone, è rammaricato: il sacerdote ha dovuto annullare tutte le festività e le messe in occasione della natività della Vergine Maria (8 settembre) e quella dell’Esaltazione della santa croce prevista per oggi, 14 settembre, nel santuario dedicato alla madre di Gesù. “Ho preso questa decisione controvoglia - afferma - ma non potevo fare altrimenti”. I combattimenti che infuriano da una settimana fra fazioni palestinesi all’interno del campo profughi di Ain al Hilweh hanno turbato, infatti, l’atmosfera di questo spazio molto frequentato, con il rischio di proiettili vaganti che sono fonte di grande pericolo. Parole e timori giustificati dai fatti, perché non lontano da qui, a Ghaziyé, distante circa 2 km dalla città portuale, alcuni proiettili esplosi ad altezza uomo hanno provocato un morto e due feriti.
Nel villaggio di Miyé-Miyé, a sud di Sidone, Francesca Francis, madre di sei figli, fra i quali un sacerdote sposato di rito orientale, esce di casa solo per effettiva necessità. Non vuole assumersi più rischi. La festa della Croce, celebrata con una processione attorno alla statua della Vergine installata a un incrocio della via principale del villaggio, è stata annullata. Per raggiungere il centro, gli abitanti non passano più attraverso Sidone ma fanno una deviazione lungo strade secondarie. Al momento i combattimenti tra le forze regolari di Fatah, che fanno capo all’Autorità palestinese, e i gruppi islamisti, tra cui uomini dello Stato islamico (Daesh), non hanno ancora provocato alcun esodo, fatta eccezione per alcuni residenti del campo. Tuttavia, la situazione resta delicata perché parliamo di un’area stretta, di circa 1,5 km quadrati, e sovraffollata per la presenza di oltre 120mila persone.
Il bilancio dell’ultima ondata di violenze, dopo una fragile tregua durata un mese, parla di almeno 18 morti e oltre un centinaio di feriti, secondo un bilancio fornito dall’Afp. Centinaia di famiglie sono state costrette a lasciare il campo e si sono rifugiate nei giardini e nelle strade adiacenti al comune di Sidone, oltre che in una scuola e in altri spazi messi a disposizione da privati. La maggior parte di questi rifugi è stata occupata da donne e dai loro bambini piccoli. Uomini, giovani e singoli individui preferiscono rimanere all’interno del campo, nonostante il sovraffollamento, il disagio e la promiscuità che si sperimenta nei rifugi temporanei.
Un “campo” improvvisato di 35 tende eretto in tutta fretta dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) all’ingresso nord della città è stato smantellato in seguito alla protesta di alcune forze politiche di Sidone. La prospettiva dell’embrione di un nuovo, e futuro, “campo” palestinese ha fatto scattare più di un campanello di allarme, sebbene il personale della Cicr avesse agito previo permesso dell’amministrazione comunale.
I combattimenti di ieri hanno provocato altri cinque feriti, tra cui gli autisti delle ambulanze che sono stati colpiti dal fuoco incrociato. A inizio giornata, una granata era caduta nel quartiere in cui si trovano gli edifici dell’Università libanese (Ul), causando la chiusura temporanea dell’istituto dove sono in corso di svolgimento in questi giorni le iscrizioni per l’anno accademico 2023-2024.
Gli scontri tra membri di Fatah e gruppi islamisti radicali, che secondo alcuni sarebbero vicini all’Iran e a Hezbollah (elemento che il partito nega con forza), sono ripresi dopo una breve pausa durante la quale si sono registrati due incontri: il primo ha riunito attorno allo stesso tavolo delegazioni di Fatah e del movimento estremista Hamas, rappresentate rispettivamente da Azzam al-Ahmad per il presidente Mahmoud Abbas, e dal numero due di Hamas Moussa Abou Marzouk, presso l’ambasciata palestinese a Beirut. Il secondo vertice ha riguardato lo stesso Azzam el-Ahmad e funzionari civili e militari libanesi. Secondo la versione ufficiale gli uomini di Hamas non parteciperebbero ai combattimenti, ma resta forte la loro autorità e il loro ascendente sui gruppi jihadisti coinvolti.
Beirut ritiene che questi scontri non siano estranei a quanto sta accadendo in Cisgiordania, dove stanno nascendo gruppi jihadisti sulla scia di una repressione israeliana sempre più brutale, con l’obiettivo di rimpiazzare una Autorità palestinese percepita come passiva e corrotta. Le violenze sono divampate ad agosto dopo l’assassinio del capo della sicurezza del campo di Ain al Hilweh, Abu Ashraf el-Armouchi, e di altri tre membri di Fatah.
Gli appelli per consegnare alle autorità libanesi gli autori di questo quadruplo assassinio sono rimasti inascoltati. “E rimarranno tali” afferma la giornalista Rossella Haddad, profonda conoscitrice delle vicende che si stanno consumando nell’area. Ieri il movimento palestinese ha accusato “partiti e servizi di sicurezza esterni”, pur senza menzionarli, di soffiare sul fuoco della discordia, approfittando del collasso delle istituzioni libanesi e dell’infiltrazione incontrollata di centinaia di siriani in Libano attraverso canali illegali. Tuttavia, la cronista esclude un possibile coinvolgimento dell’esercito libanese in questi combattimenti, non solo per l’alto costo in termini di vite umane, ma anche per gli accordi che affidano la sicurezza del campo alle sole forze palestinesi legittimate a farlo. Vi è infine da ricordare che il Libano stesso ha assunto provvedimenti atti a evitare “una estensione dei combattimenti ad altri campi profughi” sparsi per il Paese dei cedri.