Scene di ordinaria violenza del “Far West” cinese
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Proteste di interi villaggi che chiedono l’indennità per i terreni espropriati dal governo, imprese che inviano picchiatori contro attivisti per i diritti dei lavoratori, polizia mandata a pestare e arrestare gli operai che chiedono di essere pagati: la “società armoniosa” cinese assomiglia sempre più al vecchio “Far West” Usa, con i cittadini che debbono difendere da soli quei diritti che lo Stato afferma, ma non tutela.
Circa 2mila contadini del villaggio Renhai, vicino la città di Leliu distretto di Shunde (Foshan), il 26 dicembre hanno impedito la posa in opera dei piloni per cavi elettrici ad alto voltaggio, poi hanno rovesciato e dato fuoco ad almeno 10 camion. Si sono anche azzuffatti con i 2mila poliziotti mandati per controllare la situazione. I contadini lamentano il mancato pagamento della terra espropriata per costruire l’impianto, mentre fonti governative smentiscono che il capo villaggio sia fuggito con il denaro e dicono che protestano per paura delle radiazioni del nuovo impianto elettrico, troppo vicino alle case.
Il 27 novembre circa 10mila lavoratori della fabbrica elettronica di Ai Gao a Dong Wan (Guangdong) sono scesi in piazza, protestando che la ditta decurta dal loro salario di 690 yuan (meno di 70 euro, il minimo mensile per legge) almeno 232 yuan per la mensa e 50 yuan per farli dormire in stanze da 16 persone. La polizia ha colpito i dimostranti e portato via oltre 100 persone, anche alcuni giornalisti. Nei giorni successivi il governo di Dong Wan ha proibito qualsiasi notizia, anche su siti web.
A Shenzhen da mesi gli attivisti per i diritti dei lavoratori sono pestati da ignoti. Huang Qingnan, ex camionista di 34 anni, ha creato un gruppo, chiamato Dagongzhe, che spiega agli operai i diritti riconosciuti dalla nuova legge in vigore del 1° gennaio e distribuisce opuscoli informativi. La legge, tra l’altro, riconosce alcuni diritti standard ai lavoratori, come l’indennità di fine rapporto, la stabilità del posto per chi lavora per una ditta da almeno 10 anni. Molte imprese hanno forzato gli operai a dimettersi e poi a farsi riassumere prima del 2008, per togliere loro questo diritto. Il 14 novembre picchiatori hanno devastato l’ufficio del gruppo, nella zona industriale di Shenzhen. Sei giorni più tardi Huang è stato pestato e accoltellato da uomini mascherati, con gravi lesioni al fianco e ai muscoli e tendini della gamba destra. “Erano veri professionisti” commenta Huang al South China Morning Post, che accusa le imprese locali “di avere mandato malfattori a distruggere l’ufficio e colpire me”, “perché informiamo i lavoratori e così creiamo problemi alle ditte”.
Sempre a Shenzhen, una settimana prima è stato massacrato di botte Li Jinxin, pure attivista prolavoratori, e la stampa locale ricorda almeno altri due attivisti pestati in questi mesi.
Liu Kaiming, altro attivista a Shenzhen, accusa le autorità di sapere chi ha aggredito Huang ma che “il governo non ha molto interesse a intervenire”.
Anita Chan, ricercatrice presso l’Università nazionale australiana, dice che finora le imprese locali non avevano mandato picchiatori contro gli attivisti per i diritti dei lavoratori. “Se questo continua – osserva – si potrà generare una cultura di violenza, simile a quanto succede nell’America latina”.
Osservatori accusano molti governi locali di essere conniventi o inerti rispetto all’abuso dei diritti dei lavoratori, che sono privi di tutela contro i soprusi di imprese e poteri pubblici. Ricordano il detto di Mao Zedong che “il nostro Partito e il nostro Stato sono fondati sui contadini e sui cittadini, dobbiamo essere sempre insieme a loro” e accusano i poteri pubblici di ipocrisia e di vessare la popolazione come decenni fa hanno fatto gli invasori giapponesi. (PB)