01/03/2016, 08.52
LIBANO
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Samir Frangieh: un rinnovamento cristiano, contro la minaccia della fine del Libano

di Samir Frangieh*

L’ex parlamentare cristiano lancia un appello al Paese, da oltre 20 mesi senza presidente e teatro di una grave crisi politica. Come in passato, la comunità deve farsi promotrice di unità, condivisione e convivenza. Creare una rete di sicurezza capace di proteggere il Paese. Per gentile concessione del quotidiano libanese L’Orient-Le Jour.

Beirut (AsiaNews/Olj) - Il Libano sta vivendo sotto la minaccia di una nuova guerra civile, una guerra civile che vedrebbe opposti questa volta musulmani sunniti e musulmani sciiti non solo in Libano, ma in egual modo anche nel mondo arabo. Questa guerra, se mai avverrà, comporterà la fine del Libano.

Noi, come cristiani, abbiamo il compito di mettere in campo qualsiasi sforzo per impedire una nuova discesa agli inferi e costruire un futuro di pace.

Perché siamo chiamati a combattere questa battaglia il cui esito è determinante per il futuro del Libano?

Perché la guerra che si profila all’orizzonte ci preoccupa tanto quanto preoccupa le comunità musulmane. Noi siamo parte integrante, come sottolineano i patriarchi cattolici d’Oriente, dell’identità culturale dei musulmani, così come questi ultimi sono parte integrante dell’identità culturale dei cristiani”. E noi siamo, di conseguenza, “responsabili gli uni degli altri davanti a Dio e davanti alla storia..

Possiamo combattere questa battaglia? Sì, siamo in grado di farlo.

Possiamo farlo perché da un punto di vista storico abbiamo ricoperto un ruolo di avanguardia nella promozione del vivere in comune e lo abbiamo fatto partecipando in modo attivo, nel XIX secolo, alla Rinascita araba, la Nahda, poi rifiutando nel 1920 l’idea di una “patria nazionale cristiana” e, infine, nel 1943, respingendo il prolungamento del mandato francese sul Libano.

Possiamo farlo anche perché siamo stati i primi, dopo la rottura provocata dalla guerra del 1975, a operare per ripristinare la convivenza comune islamo-cristiana, avviando, con l’Esortazione apostolica del 1997, un lavoro di “purificazione della memoria”.

Possiamo farlo perché siamo stati i primi in questo mondo arabo, con l’appello dei vescovi maroniti nel 2000, a condurre la battaglia contro i regimi dittatoriali, preparando il terreno per la rivoluzione dei Cedri (2005), precursore delle varie Primavere arabe (2011).

Possiamo farlo perché siamo stati i primi nel mondo arabo a sostenere, con il sinodo patriarcale maronita del 2006, la creazione di uno Stato civile per rimettere le basi del vivere in comune in un contesto di Stato e non più secondo le condizioni dettate da una sola comunità.

Questo ruolo storico è oggi rimesso in discussione da parte di forze politiche per le quali la politica si è ormai ridotta a una semplice lotta per il potere. Il cambio di rotta di una parte dei cristiani che, dopo aver condotto la battaglia per l’indipendenza, si sono uniti al fronte siro-iraniano che avevano combattuto in precedenza, il sostegno concesso, in nome della protezione delle minoranze, alla dittatura siriana, la scelta della maggioranza dei partiti cristiani a una legge elettorale - detta ortodossa - che riporta il Paese a una condizione simile a quella che si registrava prima della creazione del Grande Libano, i conflitti scatenati dall’elezione di un nuovo presidente della Repubblica mostrano in tutta la loro evidenza il peso della regressione vissuta nel Paese dal 2005.

Il Mashrek e la convivenza

Per mettere la parola fine a questa regressione e al pericolo che essa rappresenta per il nostro avvenire in Libano e in tutta la regione, bisogna tornare al messaggio originale che è alla base della nostra specificità in questa parte del mondo.

Ci stiamo battendo da quasi un secolo per difendere l’idea che è possibile vivere assieme, cristiani e musulmani, uguali nei nostri diritti e doveri e diversi nelle nostre appartenenze religiose.

Siamo riusciti a creare un modello libanese di convivenza che acquisisce oggi, con le violenze che devastano la nostra regione e cominciano a estendersi anche all’Europa, una dimensione nuova, a causa del carattere eccezionale di questa esperienza in cui, caso unico al mondo, cristiani e musulmani sono coinvolti nella gestione dello stesso Stato e in cui, fatto unico nel mondo musulmano, sunniti e sciiti sono al contempo partner nella gestione dello stesso Stato.

In base a quanto detto sinora, rivolgiamo un appello ai cristiani del Libano perché si facciano carico delle loro responsabilità e tornino all’essenza del messaggio evangelico, che è quello di insegnare agli uomini il vivere comune e in pace, e a respingere tutte le strumentalizzazioni della religione che mirano a formare identità chiuse, che si trasformano con molta rapidità - come ha mostrato l’esperienza della guerra - in “ideologie di morte”.

Noi esortiamo i cristiani ad andare oltre i confini confessionali stabiliti per unificare gli sforzi fra moderati di tutte le comunità di fronte agli estremisti di tutte le comunità stesse, e creare una rete di sicurezza capace di proteggere il Libano dalle ripercussioni derivanti dai conflitti in corso nella regione.

Noi li esortiamo a tessere dei legami con gli arabi cristiani per riflettere, con i musulmani che lottano contro l’estremismo e l’intolleranza, sulle modalità atte a gettare le basi per la nascita di un Masreq della convivenza fra i popoli che lo formano, e di cui la diversità religiosa ed etnica deve essere una fonte di ricchezza per ciascuno e per tutti.

Noi li esortiamo infine a tessere dei legami con le forze moderate in Europa che lottano contro l’islamofobia e tutte le forme di rigetto dell’altro, per promuovere una nuova visione del Mediterraneo, un Mediterraneo del vivere in comune fra popoli che si affacciano sulle sue coste. Perché è quello lì, oggi, “il mare di tutte le divisioni”, circondato da grandi conflitti che portano divisioni confessionali e pulizie etniche e nazionali che non risparmiano nessuno”.

* Samir Frangieh è un politico libanese, ex deputato maronita di Zghorta, nel nord del Paese.

 

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