Sacerdote irakeno: la mia vocazione è nata a Mosul, sull’esempio dei martiri cristiani
P. Rayan Nabil Bakos è stato ordinato lo scorso 25 novembre a Erbil dal patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako. L’impegno nella pastorale “per aiutare quanti sono nel bisogno”. Da mons. Rahho e p. Ragheed un esempio di testimonianza. La comunità cristiana irakena, vittima di persecuzioni, ha bisogno di pastori che “preghino per loro e con loro”.
Baghdad (AsiaNews) - Una vocazione nata “sin da piccolo”, che si è rinnovata raccogliendo le parole, pronunciate nel corso di un’omelia, dall’allora arcivescovo di Mosul mons. Rahho, morto nelle mani di rapitori integralisti. E ancora, gli anni giovani trascorsi “in un ambiente a maggioranza musulmana”, che non gli ha impedito di “partecipare alle attività della Chiesa”, e l’impegno nel settore della pastorale “perché la nostra gente ha bisogno di persone” nelle quali credere e alle quali affidarsi. È la storia di p. Rayan Nabil Bakos, neo sacerdote caldeo ordinato a fine novembre a Erbil, nel nord dell’Iraq. I fedeli e la comunità irakena, racconta ad AsiaNews, vittima di persecuzioni e tormentata da sofferenze, ha bisogno di pastori che “preghino per loro e preghino con loro”.
Per p. Rayan, è importante “mostrare alle persone l’importanza della solidarietà come gesto effettivo”. Essa è il punto di riferimento “di ogni azione nella nostra vita” e un insegnamento da mostrare “a tutto il mondo”. Un criterio, aggiunge, che deve muovere anche “il nostro lavoro verso i profughi” di Mosul e della piana di Ninive. Persone che hanno abbandonato ogni bene e si apprestano a vivere il terzo Natale lontane dalle loro case e dai loro beni, e che per questo “hanno bisogno di tutto il nostro sostegno nell’opera di ricostruzione della loro vita e delle loro case. Sono persone che hanno perso tutto”.
P. Rayan è nato a Mosul il 30 gennaio del 1986. Al termine degli studi, nel 2007 egli ha fatto li suo ingresso nel seminario di Ankawa, a Erbil, capitale del Kurdistan irakeno; si è laureato in Teologia e filosofia presso il Babel College a Baghdad. Parla l’arabo, il caldeo e l’inglese e svolge al momento l’incarico di vice-parroco nella parrocchia di san Giorgio, nella capitale irakena.
Egli ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale assieme a un altro neo-sacerdote dalle mani del patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, durante una cerimonia che si è svolta il 25 novembre scorso a Erbil. Assieme al primate della Chiesa irakena hanno celebrato il rito mons. Bashar Warda, arcivescovo di Erbil, e mons. Jacques Ishaq, della diocesi di Baghdad, assieme a numerosi sacerdoti, suore e fedeli.
Durante l’omelia il patriarca Sako ha ricordato che il prete deve essere “al servizio” della comunità e il suo messaggio “è il messaggio di Cristo”. Egli deve essere “testimone di apertura e di speranza” e deve essere pronto a operare “per il bene di tutti”.
“Ho sentito la chiamata di Dio - racconta il neo sacerdote ad AsiaNews - molte volte, sin da piccolo. Poi, crescendo, in gioventù ho pensato potesse essere solo un desiderio, senza una reale vocazione alle spalle”. Tuttavia, ha continuato a frequentare “la chiesa in cui celebrava l’allora vescovo” di Mosul, mons. Paul Faraj Rahho, deceduto nel corso di un sequestro nel marzo 2008, e ricorda ancora le parole pronunciate dal prelato durante l’omelia: “Cari giovani, se nutrite il desiderio di diventare sacerdoti non abbiate esitazioni di sorta”. Da quel momento, egli capisce che “Dio mi stava chiamando, di nuovo”. “Decido - prosegue p. Rayan - di parlare con lui [mons. Rahho] ed egli è stato ben felice di consigliarmi e di darmi tutto il suo aiuto”.
Pur essendo cresciuto in un ambiente “a maggioranza musulmana”, prosegue p. Rayan, “ho sempre cercato di restare vicino alla mia chiesa, partecipando a tutte le attività che essa proponeva. Dalla messa domenicale al catechismo, ho potuto mantenere vivo il legame con la mia fede senza essere influenzato dall’ambiente circostante” che si presentava sempre più difficile e ostile per i cristiani. Del resto Mosul è una delle città dell’Iraq in cui si è osservato da tempo un clima di ostilità e violenze anti-cristiano, culminato nella seconda metà degli anni duemila nell’uccisione del vescovo e di p. Ragheed Ganni. Violenze e attacchi mirati che hanno spinto molti fedeli e centinaia di famiglie a fuggire, in attesa di un luogo più sicuro.
Nonostante le difficoltà, quello di Mosul e dell’infanzia vissuta in città resta un ricordo sempre vivo nella memoria del novello sacerdote. “Della mia infanzia e giovinezza - racconta - ricordo la mia chiesa, la parrocchia, i miei amici del catechismo con i quali ho condiviso il sacramento della Prima comunione”. E ancora, il tragitto verso la scuola e “i giochi con i compagni, sia all’interno dell’istituto che a casa, quando facevamo i compiti in compagnia”.
Per il futuro, p. Rayan intende operare nel campo della pastorale “per aiutare quanti sono nel bisogno”, esortandole a “condividere problemi e difficoltà, ansie e sofferenze” per far sentire loro “la presenza e la vicinanza della Chiesa”. E per un futuro di pace e di convivenza, egli intende approcciare per primi i bambini “insegnando loro l’amore senza discriminazione, il perdono, che siamo tutti cittadini di un’unica nazione che chiamiamo Iraq”. “Che siamo fratelli di un’unica nazione - conclude - e che dobbiamo operare per costruire un avvenire migliore”.