04/10/2019, 11.27
BANGLADESH – ITALIA
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Sacerdote di Dinajpur: Sono missionario con la mia vita, ovunque io sia

di Anna Chiara Filice

P. Tipu Panna è a Roma, con i padri del Pime, per un periodo di formazione. Nella sua diocesi “c’è davvero bisogno di una guida spirituale, i sacerdoti disponibili sono ancora pochi”. “Sono sacerdote perché voglio essere al servizio degli altri”. La sua missione ad gentes: “Anche solo essere gentile con le persone significa insegnare Gesù”.

Roma (AsiaNews) – Essere missionario “significa testimoniare Cristo con la mia vita, ovunque io sia”. Lo dice ad AsiaNews p. Tipu Panna, 33 anni, sacerdote della diocesi di Dinajpur, in Bangladesh. Egli parla della sua vocazione e degli anni di studio. Della sua missione sacerdotale dice: “Sono al servizio della mia diocesi. C’è tanto lavoro da fare”. Sull’invito di papa Francesco a ogni cattolico nel Mese missionario straordinario a rinnovare le promesse battesimali e proclamare il Vangelo, afferma: “Per essere missionario non bisogna per forza andare all’estero. In base alle mie capacità, posso essere missionario ovunque io possa donarmi. Posso testimoniare la mia fede e evangelizzare attraverso il mio lavoro, il mio comportamento, il mio pensiero, con la mia vita intera”.

P. Tipu è nato il 5 agosto 1986 nel villaggio di Panchpukur, nel territorio della chiesa di san Giovanni Battista di Lohanipara. Ha altri due fratelli e sorelle, di cui una suora. La sua famiglia ha origini tribali Orao, i suoi nonni si sono convertiti al cristianesimo con l’arrivo dei missionari del Pime nella diocesi di Dinajpur. Da piccolo, egli ha studiato in due “boarding school”, cioè gli ostelli associati alle parrocchie: a Boldipukur, durante gli anni della scuola primaria; a Dinajpur e Suihari per il periodo del liceo. In seguito è tornato nel suo villaggio, poi è entrato nel Seminario minore della diocesi. Ha preso la laurea in letteratura inglese alla Notre Dame University di Dhaka, poi si è formato nel Seminario minore di Ramna (associato all’arcidiocesi), e in quello maggiore di Banani. Nel frattempo ha servito nella pastorale di due parrocchie (Nijpara e Pathorghata), occupandosi catechismo, animazione giovanile, insegnamento nell’ostello e visite ai villaggi. Infine, ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 27 novembre 2015.

Al momento egli è a Roma per studiare Liturgia all’Università di sant’Anselmo. L’obiettivo di questo periodo di formazione “è poter rientrare nella diocesi e insegnare ad altri cattolici, ai catechisti e forse anche nel seminario e nel centro pastorale”. In Bangladesh infatti, racconta, “non ci sono insegnamenti specifici sulla liturgia, e ho imparato tanto da quando sono arrivato”.

Da due anni vive con i padri del Pime (Pontificio istituto missioni estere): “L’esperienza con loro mi sta aiutando tanto, vedo buoni rapporti umani, che aiutano gli altri, la preghiera. Vivendo all’estero la mia mentalità è cambiata, è diventata più aperta. Tutto questo mi servirà quando tornerò nella mia diocesi in Bangladesh”.

Nel territorio della Chiesa a Dinajpur, racconta, “ci sono circa 40 sacerdoti e 16 parrocchie. Le distanze sono grandi e una singola parrocchia può comprendere fino a 20 villaggi. C’è davvero bisogno di una guida spirituale, i sacerdoti che ci sono non bastano. Inoltre i fedeli non riescono sempre a venire a messa, perché la domenica non è un giorno di festa”. “Una cosa bella – aggiunge – è quando riescono a trovare un accordo con il datore di lavoro, che gli lascia la domenica come giorno libero per venire a messa, lavorando invece di venerdì [giorno sacro per l’islam]”.

Il percorso sacerdotale non è per tutti, aggiunge, “ci sono tanti che lasciano dopo alcuni anni. Basti pensare che quando sono entrato in seminario eravamo circa 30, e alla fine siano arrivati in cinque. Poi sono stato l’unico della mia diocesi a entrare nel Seminario maggiore”. Avendo vissuto fin da piccolo insieme a uomini e donne di fede – dice a proposito della sua vocazione – “ho avuto da subito il desiderio di diventare sacerdote. Vedevo la vita dei preti e delle suore ed ero affascinato da loro esempio. Ma non è tutto: sono sacerdote perché voglio essere al servizio degli altri, quando prego sto bene, mi sento felice, appagato nel rapporto con Cristo e nel diffondere il Vangelo”.

Come sacerdote diocesano, spiega cosa significa per lui parlare di missione ad gentes, “in uscita”: “Anche solo essere gentile con le persone significa insegnare Gesù. Se ho valori cristiani, posso lavorare ovunque. Gli altri si rendono conto che siamo differenti, che siamo cristiani. Nel mio Paese i cristiani sono stimati perché i nostri valori parlano di rispetto e diritti umani, le nostre scuole garantiscono una buona istruzione”.

“Se dovessi andare in un Paese indù o buddista – aggiunge – sarebbe lo stesso, perché è la mia vita che testimonia la mia vocazione. In quanto esseri umani, dobbiamo tutti rispettarci l’uno con l’altro. Tra noi cristiani ci sono delle divergenze, ovviamente. Ma quando parliamo in maniera educata, è il nostro comportamento che parla per noi e in questo senso, possiamo aiutare ovunque”.

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