Sacerdote a Damasco: le sanzioni annullano fiducia e speranza nel futuro
Le nuove misure punitive volute dall’amministrazione Usa non colpiscono la leadership, ma la popolazione civile. Per il governo siriano aprono la porta al terrorismo. P. Amer: il problema “non è solo materiale”, in fuga “un’intera generazione di giovani professionisti”. Benefattori e imprenditori “hanno paura a inviare denaro e risorse”.
Damasco (AsiaNews) - La situazione in Siria “è complicata a tutti i livelli” a causa dei conflitti in corso in alcune zone e per la morsa delle sanzioni, che sta “impoverendo” il Paese e ha costretto alla fuga all’estero “un’intera generazione di giovani professionisti”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Amer Kassar, sacerdote della chiesa della Madonna di Fatima a Damasco, secondo cui “non vi è solo un problema materiale, soldi e risorse, ma se abbiamo fiducia e speranza nel futuro”. Anche le iniziative promosse dalla Chiesa subiscono, di riflesso, il peso delle misure punitive “e non riescono a garantire l’aiuto sperato”.
Raccontando la situazione della Siria, p. Amer sottolinea che vi sono tuttora focolai di conflitto in atto “nel nord-ovest, nell’area di Idlib, dove è in atto uno scontro fra i diversi gruppi terroristi e che finisce per coinvolgere i civili”. Nel nord-est “il problema è con i curdi, i quali hanno impedito nei giorni scorsi agli studenti di svolgere gli esami”. I curdi, prosegue, “puntano a cambiare il sistema educativo, vogliono un modello curdo-arabo separato da quello siriano”.
“Per noi che viviamo sotto l’autorità del governo - sottolinea il 42enne sacerdote siro-cattolico - il problema maggiore è rappresentato dalla situazione economica: la vita è diventata molto cara, i prezzi sono aumentati mentre i salari sono rimasti gli stessi e il loro valore adesso si aggira attorno ai 25/30 dollari al mese. I prodotti sarebbero anche disponibili, fra cibo e beni di prima necessità, ma le persone non si possono permettere il ‘lusso’ di comprarli”. Inoltre le sanzioni bloccano “l’acquisto di merci dall’estero, fra cui i medicinali” mettendo in crisi il sistema sanitario in un momento di “forte stress” a causa della pandemia di nuovo coronavirus.
La scorsa settimana l’amministrazione americana, guidata dal presidente Donald Trump, ha promesso una massiccia campagna di pressione “politica ed economica” sul governo siriano, promuovendo nuove sanzioni che colpiscono anche la moglie di Assad. L’obiettivo di Washington - nel contesto delle misure previste dal Caesar Act - è quello di isolare la leadership di Damasco e costringerla a sedere al tavolo dei colloqui di pace, sponsorizzati dalle Nazioni Unite, in una condizione di debolezza e inferiorità.
Tuttavia, al netto della retorica e della propaganda la nuova serie di misure punitive - che si sommano a quelle già in vigore ed emanate da Usa e Unione europea - finiscono solo per colpire la popolazione siriana, come denunciato di recente da personalità cristiane. Il prezzo maggiore non verrà pagato dai vertici politici e istituzionali, quanto piuttosto dalla gente comune strozzata dall’impennata dei prezzi, dalla svalutazione della moneta e dalla mancanza dei prodotti.
Intanto si registrano le prime reazioni da parte della leadership siriana, che accusa gli Stati Uniti di “cercare di affamare il popolo” siriano, aprendo la porta al “terrorismo” e al ritorno dei tempi più bui della guerra. Per Walid al-Moallem, ministro siriano degli Esteri, è in atto un tentativo di influenzare le elezioni presidenziali in programma il prossimo anno, ma Assad “resterà al potere” sino a che sarà “il popolo siriano” a volerlo.
Benefattori, imprenditori e persone comuni “hanno paura a mandare denaro o merci in Siria nel timore di incappare nelle sanzioni” statunitensi ed europee, conferma p. Amer. “Le restrizioni non toccano il governo, il presidente - aggiunge - ma sempre il popolo, siamo noi a soffrire che non abbiamo soldi per mangiare. Queste misure finiscono per affamare le persone comuni”. Inoltre, l’escalation della crisi “costringe sempre più giovani medici, ingegneri, laureati alla fuga” lasciando il Paese “senza una intera generazione che dovrebbe rappresentare il motore della sua crescita. Se ne sono andati per mancanza di fiducia e di speranza nel futuro”.
“La Siria - sottolinea - era ricca, avevamo turismo, industrie, ora non c’è più niente ed è peggio che ai tempi più bui della guerra. L’unica speranza, oggi, è di avere un piccolo appartamento e un po’ di cibo in tavola”. La Chiesa, conclude, cerca “di portare un po’ di sostegno alle famiglie più povere, ma nemmeno noi riusciamo a fare più di tanto perché abbiamo molti meno fondi e risorse. Progetti e iniziative sono ferme perché gli arrivi dall’estero sono bloccati”.
24/06/2021 11:20