Sacerdote a Damasco: Trump usa la Siria come carta elettorale, ma il popolo soffre
La Casa Bianca ha inviato un funzionario di punta per trattare col governo siriano la liberazione di due statunitensi. Un primo contatto dopo anni di muro secondo alcuni. In realtà è la terza visita e Damasco pone come condizione il ritiro delle truppe Usa. Per p. Kassar il card Zenari fra le poche voci a ricordare il dramma della gente comune. Ore in fila per il pane, senza gasolio per l’inverno. Il Covid-19 uno dei tanti problemi.
Damasco (AsiaNews) - Una “carta” che si è giocato il presidente Usa Donald Trump “in chiave elettorale”, sebbene il governo siriano non sembra intenzionato a trattare “prima di un ritiro dell’esercito Usa dai territori dell’est e del nord-est del Paese”. È l'opinione di p. Amer Kassar, sacerdote della chiesa della Madonna di Fatima a Damasco, commentando la notizia filtrata in queste ore di una missione diplomatica di un alto funzionario statunitense in Siria per trattare la liberazione di due americani scomparsi da tempo. “Abbiamo letto diversi articoli sulla vicenda in queste ore - prosegue il prete - ma non è la prima missione, altre ve ne sono state in questi anni anche se non sono state pubblicizzate. Io credo che Trump sia alla ricerca di voti”.
Secondo quanto ha riferito alla stampa la figlia di uno dei due cittadini rapiti, di recente Kash Patel (numero due degli assistenti del presidente e figura chiave dell’antiterrorismo alla Casa Bianca) si è recato a Damasco in missione diplomatica. Sebbene non vi siano conferme, l’obiettivo era trattare il rilascio del 62 psicoterapeuta Majd Kamalmaz, della Virginia, e del giornalista freelance 39enne Austin Tice. Del primo non si hanno notizie dal 2017, mentre il secondo ha fatto perdere le proprie tracce nel 2014, dopo un controllo a un checkpoint alla periferia della capitale.
Dal 2012 Siria e Stati Uniti non hanno rapporti diplomatici, in seguito al ritiro dell’ambasciatore mentre il conflitto da rivolta civile si era già trasformato in guerra per procura fra potenze regionali e internazionali. Il giornale filo-governativo Al-Watan ha confermato la visita, che risale ad agosto ed è la terza degli ultimi anni. Da un lato, essa potrebbe rimettere in gioco Bashar al-Assad come interlocutore riconosciuto a livello internazionale. Di certo vi è la risposta del governo, che prima di trattare vuole il ritiro statunitense dal settore orientale, dove sono stanziati a sostegno dei curdi.
“Secondo Damasco - spiega p. Amer Kassar - l’America promuove una politica di occupazione e prima deve andarsene, altrimenti non saranno possibili negoziati. Tuttavia, la comunità internazionale deve pensare al popolo siriano che sta soffrendo a causa delle sanzioni. Questi provvedimenti a parole sono diretti al governo, ma nella pratica colpiscono la povera gente costretta a file di molte ore per comprare un po’ di pane. Se l’obiettivo delle sanzioni era quello di far rivoltare il popolo contro la leadership, cosa che non è successa in 10 anni, direi che il progetto è fallito e va archiviato. Qui il popolo muore piano piano, una situazione disumana e su questo punto i governi europei e gli Stati Uniti dovrebbero agire. Fra un mese arriva l’invero e sarà terribile”.
Da tempo Trump ha promosso una massiccia campagna di pressione “politica ed economica” sul governo siriano, a base di nuove sanzioni. L’obiettivo di Washington - nel contesto delle misure previste dal Caesar Act - è quello di isolare la leadership di Damasco e costringerla a sedere al tavolo dei colloqui di pace, sponsorizzati dall’Onu, in una condizione di debolezza. Tuttavia, la nuova serie di misure punitive finiscono solo per colpire solo la popolazione siriana.
Fra i pochi che hanno testimoniato la drammaticità della realtà siriana, prosegue il sacerdote, vi è il nunzio apostolico card. Mario Zenari, che “ben ha descritto in Vaticano nell’incontro con i diplomatici quanto sia pesante la nostra croce”. Per il porporato la Siria è scomparsa “dai radar dei media” e i suoi conflitti coperti da una “coltre di silenzio”. Il nunzio, afferma p. Kassar, “ha parlato a nostro nome a livello internazionale” facendo emergere ciò che da tempo passa sotto silenzio”. Le rare volte che esce il tema siriano “si tende a parlare di Idlib e altre aree nelle mani dei ribelli, ma non di quanto avviene nelle zone governative in cui vivono 13 milioni di persone”.
A Damasco “mancano petrolio per il riscaldamento, benzina per le auto, farina per il pane con file interminabili per l’acquisto. Nei negozi governativi il prezzo è calmierato a 50 lire, al di fuori si arriva fino a 500 lire. I poveri aumentano sempre di più, una situazione difficile con la quale convivere e questo vale anche per la pandemia di Covid-19. Non ci possiamo permettere di chiudere - conclude il sacerdote - e se nel mondo il coronavirus è la questione principale, qui è uno dei tanti e non certo il più grave dei problemi: un elemento in più col quale convivere, perché non ci possiamo certo permettere di chiudere con lockdown che finirebbero per essere più catastrofici del virus”.
16/09/2016 13:28