Riyadh: diplomazia, riforme e diritti (negati). La Silicon Valley in salsa saudita
Il regno vuole diventare il principale hub digitale e tecnologico della regione. Il nazionalismo di bin Salman ha soppiantato il wahhabismo religioso. Divertimento e modernità, ma solo dietro concessione dello Stato. Il nodo delle infrastrutture e della fibra ottica. I cambiamenti sociali si riflettono nel mercato immobiliare.
Milano (AsiaNews) - Diversificazione in ambito economico, attivismo in campo diplomatico a partire dalla ripresa delle relazioni con Teheran (rivale sciita nella regione) e dai dialoghi con i ribelli filo-iraniani Houthi nello Yemen, riforme sociali e nazionalismo a soppiantare l’islam wahhabita. L’Arabia Saudita negli ultimi anni ha compiuto cambiamenti radicali che vanno di pari passo con una profonda mutazione delle politiche promosse dal principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs) che dal confronto militare è passato, almeno verso l’esterno, al dialogo. Difatti se sul fronte interno Riyadh continua a usare il pugno di ferro - e la pena di morte - per reprimere ogni forma di dissenso, oltre-confine ha avviato politiche di distensione - dalla Repubblica islamica allo Yemen - in una prospettiva di sicurezza e crescita economica.
Wahhabismo e nazionalismo
Il riferimento resta l’ambizioso “Vision 2030” fortemente voluto dallo stesso bin Salman, un piano di trasformazione radicale sul piano economico e finanziario che punta ad affrancare la nazione da petrolio e idrocarburi, rafforzando l’industria del turismo e dell’intrattenimento. Tuttavia, il vero obiettivo è quello di far diventare quello che un tempo era il regno wahhabita punto di riferimento della sunna e del pellegrinaggio religioso islamico alla Mecca e Medina, in un moderno polo finanziario, tecnologico e dell’innovazione.
Al momento della presentazione, nel 2016, di “Vision 2030” Mbs non era ancora principe ereditario. Oggi è anche primo ministro ed è il vero uomo forte che determina le politiche saudite, in patria e all’estero, perseguendo una diversificazione delle alleanze internazionali che hanno portato il Paese a riallacciare con l’Iran e dialogare con Israele, pur senza finire nell’abbraccio degli “Accordi di Abramo”. E ancora, a mantenere vivo l’asse con Washington in cui il democratico Biden ha preso il posto del repubblicano Trump, senza disdegnare le iniziative diplomatiche - e il denaro - di Pechino, che guarda con crescente interesse al Medio oriente.
Un riformismo che trova nel mega-progetto di Neom, la città futuristica sulle rive del mar Rosso e realizzata al 20%, la vetrina più significativa coi giovani target di riferimento in una nazione in cui due terzi della popolazione ha meno di 35 anni. A questo si accompagna il piano di crescente “de-wahhabizzazione”, laddove l’interpretazione più rigorosa dell’islam viene messa da parte e i leader fondamentalisti accantonati, a favore di un nazionalismo che lascia spazi marginali alle libertà e ai diritti. Le concessioni, infatti, vengono sempre e comunque “dall’alto” e minoranze religiose, gruppi etnici e società civile restano sotto il giogo di pesanti restrizioni o vengono perseguitate, così come permane un ricorso diffuso alla pena di morte.
Silicon Valley in salsa saudita
Analisti ed esperti sottolineano l’ambizioso progetto promosso dai sauditi nel campo della tecnologia, con il tentativo di diventare la “Silicon Valley” della Penisola arabica, anche se servono più centri e infrastrutture per affermarsi come gigante del web. E battere la concorrenza degli Emirati Arabi Uniti (Eau), che in tema di riforme e di cambiamenti hanno rappresentato un modello che, per molti versi, ancora oggi resta ineguagliato nonostante l’impegno - e il denaro - di Riyadh. Sul tavolo restano però gli investimenti miliardari fatti dai sauditi in data center, metaverso e cavi in fibra ottica. Gli attori globali della rete come Microsoft, Google, Oracle, Meta e Apple guardano con interesse al regno, attratti dagli enormi capitali a disposizione, dall’elevato uso di internet e dai piani di sviluppo per il futuro. Fahad Alhajeri, amministratore delegato di Center3, una filiale della Saudi Telecom Company (Stc), conferma che l’obiettivo è diventare “il principale hub digitale” che collega i tre continenti “Asia, Europa e Africa, oltre a guidare la quota maggiore di scambio internet e traffico dati nella regione”.
Già oggi l’Arabia Saudita può essere considerato un gigante del digitale, ospitando oltre il 55% della quota mercato delle telecomunicazioni nella regione e il 51% delle industrie di Information Technology, come emerge dai dati di Goldstein Research. La penetrazione di internet nella vita quotidiana e nella società si attesta al 98%, sebbene la spesa al consumo per il settore IT sia solo dello 0,7% del Pil, rispetto all’1,3% dei Paesi sviluppati, a riprova peraltro dell’ampio margine di crescita a disposizione. E quella crescita sta arrivando. Si prevede che i servizi cloud in Arabia Saudita raggiungeranno i 10 miliardi di dollari entro il 2030. Google è entrato in una joint-venture con il gigante petrolifero statale Aramco. Microsoft investirà 2,5 miliardi di dollari in un nuovo data center cloud. Il gigante tecnologico cinese Huawei investirà 400 milioni di dollari nel cloud. A maggio Meta, la società madre di Facebook, aprirà la prima accademia metaverso della regione a Riyadh, per formare le persone su come costruire i nuovi ambienti digitali. Infine Apple sta per localizzare il suo primo hub di distribuzione in Medio oriente, vicino alla capitale. Funzionale al raggiungimento degli obiettivi la fibra ottica, all’interno della quale viaggia il 95% del traffico internet globale. Da qui la decisione dei sauditi di approntare una infrastruttura locale.
Società e diritti
I cambiamenti in campo economico e finanziario in atto hanno un impatto profondo anche in ambito culturale, con una trasformazione che tocca la società e la famiglia. Sauditi e saudite si sposano sempre più tardi e fanno sempre meno figli, stravolgendo i nuclei familiari e andando a incidere sul mercato immobiliare. Fra i nuovi modelli al femminile vi sono donne di potere, mentre aumenta il numero di quante si affermano in campo professionale o diplomatico, come le varie ambasciatrici nei Paesi occidentali. Riyadh è sempre più punto di riferimento della trasformazione, in attesa del completamento dell’avveniristica Neom, con prezzi di case e appartamenti che stanno salendo a ritmi mai registrati prima. I giovani tendono ad uscire sempre prima dalle famiglie di origine, per un crollo nella richiesta di mega-alloggi a favore di appartamenti dalle dimensioni ridotte, ma funzionali, come conferma la società di consulenza immobiliare Knight Frank.
Di circa 555mila unità residenziali in costruzione entro la fine del decennio, la maggior parte avrà prezzi di almeno un milione di dollari. “Stiamo assistendo - afferma la società interpellata da al-Monitor - al declino della famiglia multi-generazionale” mentre sempre più persone, soprattutto giovani, “sono migranti interni in cerca di prospettive migliori di carriera”. A questo si aggiunge una crescente educazione all’estero, maggiore consapevolezza in termini di vita e obiettivi, ricerca di uno stile di vita comunitario. Al mondo giovanile che cambia e si afferma, segue una industria del divertimento - guidata dallo Stato - che guarda con crescente interesse a parchi tematici, festival, cinema e sport (dal calcio ai motori). Vi sono infine cambiamento nelle scuole e nei libri di testo, dove trova posto il passato pre-islamico e vengono rimossi i passaggi più intolleranti verso ebrei e cristiani, oltre all’introduzione del cinese come terza lingua e la pratica dello yoga in scuole e università. La riforme si fermano però sulla soglia dei diritti umani, e della libertà religiosa. Difatti l’islam resta il solo culto riconosciuto nella terra della Mecca e Medina mentre chiese, sinagoghe e templi sono off-limits. Un’ulteriore area di preoccupazione per aziende e investitori riguarda infine la privacy digitale e la sorveglianza, considerata l’introduzione della legge sulla Protezione dei dati personali (Pdpl), del marzo 2023. Una norma finita nel mirino di gruppi attivisti come Smex, secondo i quali potrebbe consentire violazioni della privacy e buchi nella protezione dei dati.
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