Riprendono i dialoghi sul nucleare iraniano: i freni negli Usa e in Iran
Ginevra (AsiaNews/Agenzie) - Un nuovo giro di colloqui sul nucleare iraniano comincia domani. Già oggi John Kerry, segretario di Stato Usa, e Javad Zarif, ministro iraniano degli esteri, si incontrano nella città svizzera per studiare vie di avvicinamento. I 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia più la Germania) e l'Iran dovrebbero stilare entro il primo marzo un accordo politico che porti al controllo del programma nucleare di Teheran e a una riduzione dei processi di arricchimento dell'uranio. In cambio l'Iran vedrebbe cancellate le sue sanzioni. La conferma dell'accordo con tutti i dettagli tecnici dovrebbe essere pronto per il primo di luglio.
Per l'Iran sarebbe un'enorme occasione di liberarsi dall'embargo che in un modo o in un altro dura da più di 30 anni, ridando fiato alla sua economia; per il mondo, ma soprattutto per gli Usa si aprirebbe una stagione di collaborazione con Teheran, resa urgente anche dalla lotta che Washington ha ingaggiato con l'Isis in Iraq, a cui l'Iran potrebbe dare un contributo decisivo. Secondo diversi esperti, già ora Teheran compie raid aerei nella regione dello Stato islamico e trasporta armi per l'esercito irakeno.
Entrambi i Paesi devono però frenare l'opposizione interna. Gli Usa devono combattere contro molte frange del Partito repubblicano che cercano di bloccare ogni accordo con l'Iran, venendo incontro alle richieste di Israele e del suo premier Benjamin Netanyahu.
In Iran, il presidente Hassan Rouhani cerca di fermare l'influenza dei "falchi", radunati attorno alle Guardie della rivoluzione, che dipingono il possibile accordo come un'umiliazione del Paese. Alcune dichiarazioni dei giorni scorsi fanno trasparire segnali positivi e una maggiore confidenza di Rouhani nel riuscire a mettere all'angolo l'opposizione.
Lo scorso 28 dicembre, Ali Shamkhani, segretario del Consiglio nazionale supremo della sicurezza, ha condannato tutti coloro che criticano "senza sostanza" le politiche economiche del presidente Rouhani. Egli ha anche detto che non avere cura dell'economia dell'Iran rischia di portare il Paese a gravi conseguenze sociali e di sicurezza. Il riferimento di Shamkhani è al basso prezzo del petrolio che assottiglia ancora di più il bilancio dello Stato, già segnato dall'embargo. Tale difesa è ancora più importante se si pensa che il contrammiraglio Shamkhani è stato in passato membro delle Guardie rivoluzionarie islamiche.
Il 29 dicembre, lo stesso Rouhani ha fatto notare che la forza del suo Paese non può essere data solo dai missili (uno degli elementi che preoccupano Israele e che intralciano il possibile accordo - ndr). Il presidente ha perciò sottolineato che avere una forza missilistica, ma con carenze nell'industria e nell'agricoltura [causate dall'embargo] significa indebolire il paese e la sua popolazione.
E ancora, ad un incontro con economisti e businessmen iraniani lo scorso 4 gennaio, egli si è scagliato contro coloro che preferiscono che l'Iran rimanga isolato nella comunità internazionale. "Il Paese - ha detto - non può avere una crescita [economica] sostenibile se rimane isolato... I nostri ideali non sono legati alle centrifughe [nucleari - ndr]".
La linea di Rouhani ha sempre più successo fra gli iraniani che sono ormai stufi dell'embargo. Molti di essi dicono che esso ha impoverito il Paese e ha arricchito le Guardie rivoluzionarie, sospettate di avere in mano tutto il contrabbando di materiali proibiti con le sanzioni.